Winged Sun

Xantares, the Hunter of the Dark!

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    Mi chiedo se qualcuno ogni tanto si prenda la briga di leggerlo xD
     
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    Xantares uscì spegnendo la luce. Il buio avvolse ogni cosa sprofondando la scatola con gli effetti personali di Sharin Xeralla, lasciata chiusa sul bordo del letto, nelle tenebre della penombra. Il sinrael si chiuse la porta alle spalle, convinto di non voler affrontare l'ombra di quella scatola e dei ricordi in esso contenuti.
    Lasciarsi tutto alle spalle, dimenticarsi di quello che era successo per colpa sua e delle sue vane crociate contro Solaria: una parte di Xan lo desiderava con forza, anelava all'affondare ogni singolo secondo vissuto con Sharin nell'oblio della dimenticanza, del non ricordo.
    Ma una più piccola parte del suo animo, quella che gli ricordava di essere un jarichans dell'orgogliosa tribù Xeralla e di venire da un mondo che ancora aspettava il suo ritorno, cercava con ogni mezzo d'impedirglielo.
    Quella parte faceva leva sui ricordi più belli che aveva della madre, su ciò che quella giovanissima ragazza ritrovatasi a dover crescere il figlio di un dio gli aveva insegnato.
    Nei suoi sogni più crepuscolari e nelle memorie che l'oblio non aveva affogato, Xantares vedeva la propria madre come una figura duplice; da un lato ammantata dalla reputazione che Solaria le aveva cucito addosso, dall'altro immersa in quella luce che solo un figlio vede attorno a colei che l'ha messo al mondo ed amato dal primo istante di vita.
    Sharin la terrorista e Sharin la madre che aveva dato quel poco che aveva per lui si combattevano nei suoi ricordi, immerse in un duello che vedeva la prima avvantaggiata dagli errori e dall'inesperienza con cui aveva trattato suo figlio.
    Quando era nato, la jarichans era più giovane di lui: una ragazza che al massimo giocava a fare la donna, che tentava maldestramente di essere l'unica solida figura di riferimento per un bambino imprevisto ma amato con sincero affetto.
    Non sapeva niente di come crescere un figlio, ma fino all'ultimo secondo aveva provato a fare sempre la cosa giusta...sbagliando praticamente ogni volta.
    La vita di Sharin Xeralla si poteva riassumere come un'eterna crociata di fallimenti ed insuccessi, con lei sempre schierata dalla parte dei più deboli e per questo motivo sempre schiacciata da Solaria. E nonostante tutti i suoi errori, nonostante tutte le volte in cui aveva pianto per le cose perse, non aveva mai smesso di crederci, di riprovare.
    I suoi infiniti tentativi di essere quella madre che serviva a Xantares avevano forgiato in quest'ultimo un sentimento d'ammirazione ed un desiderio di emularla in questo. L'ostinazione con cui il sinrael combatteva il male in ogni sua forma era germogliata per merito di Sharin. Uno dei pochi lasciti che Xantares ammetteva interiormente di dovere a lei.
    Dopo che la Confederazione l'aveva sommariamente giustiziata per eresia, tradimento ed atti terroristici reiterati, l'ammirazione era svanita come cenere al vento. Solaria aveva sbattuto in faccia a Xantares la verità su Sharin, e lo aveva fatto con la crudele maestria di chi vuole impartire una lezione memorabile agli sconfitti.
    Con un gesto di apparente generosità, il mondo-prigione di Karia aveva spedito a Xantares gli effetti personali sequestrati alla donna al momento del suo internamento, ma aveva voluto tenersi le ceneri.
    Schiacciando sotto il calcagno della vendetta una delle tradizioni più antiche, il governo aveva deciso che Sharin non dovesse mai avere riposo.
    L'atto di forza era inteso a dimostrare che Jaricho e i suoi abitanti non avevano alcun diritto speciale. I giudici avevano stabilito che al figlio della traditrice non sarebbe mai stato concesso di spargere le ceneri di Sharin nell'oceano di Jaricho.
    Era un modo per dirgli: “Presta sempre attenzione a quello che fai, perché come lei tu non conti nulla davanti a noi. Non avrai nulla su cui piangere perché la sua memoria non lo merita. E tu, come suo figlio, allo stesso modo non meriti di onorarla. Vivi ed impara da questo.”
    E a quasi diciotto anni di distanza dall'ultima volta che l'aveva vista, Xantares portava ancora nel cuore le cicatrici lasciate dalla Confederazione e dagli sbagli materni.
    La pistola ad aghi Thanatos che Xantares teneva nella mano sinistra poteva raccontare quasi metà della vita di Sharin; era stata in compagnia della jarichans più tempo del suo stesso figlio, quasi a dimostrare l'inadeguatezza della ragazza al ruolo impostale dal fato.
    Sharin Xeralla: la madre di un messiah che non accettava di essere tale e che non voleva diventare una figura di riferimento per nessuno, la leader di un movimento che era stato stroncato nel sangue, la figlia di una tribù che nel momento del bisogno per lei non aveva alzato un dito.
    Sharin Xeralla, sua madre.

    «Voi sapete che non svolgerò questo lavoro gratuitamente», annunciò il sinrael facendo roteare la pistola tenuta con il solo dito indice nell'ogiva ricurva del grilletto. Verinia gli riservò uno sguardo duro come il granito, quasi volesse rimproverarlo di tanta sfacciataggine.
    «Non mi aspetto che lo faccia a titolo di favore personale, infatti.»
    «Mi pare ovvio, io non ho motivo di farvi un favore.»
    La nobildonna alzò il sopracciglio destro: nessuno poteva parlarle in quel modo! Nemmeno un membro del senato di Areth avrebbe osato tanto, avevano tutti ragione di temerla e rispettarla per il suo potere e la sua influenza. Era inconcepibile che un membro della casta mediana si rivolgesse a lui con toni di scherno e sufficienza.
    «Si ricordi del video, prima di usare quel tono con me.»
    La prossima volta che oserai tanto...non so nemmeno io cosa...
    «Oh, certo...il video incriminante...», la canzonò Xantares enfatizzando le ultime tre parole. «Sicuramente la Watchtower Guard non terrà conto del ritardo nel caso voi glielo mandiate. In fondo l'avete ottenuto solo quattordici ore fa.»
    Senza abbassarsi a mostrare emozioni come l'ira e il fastidio davanti a quell'improvviso cambio di riguardi nei suoi confronti, Verenia scoccò una gelida occhiata al sinrael. La voce della nobildonna si era ridotta quasi ad un sussurro, paragonabile al sibilo di un cobra pronto a colpire la minaccia apparsa innanzi ai suoi occhi iniettati di fuoco: «Che cosa vuole insinuare?»
    La prima volta che Verenia aveva rivolto quello sguardo a Xantares, questi si era sentito oppresso da esso e ne era stato soggiogato, costretto ad ascoltare gli ordini della nobildonna e sopportarne la presenza. Quando Verenia glielo rivolse per la seconda volta, chiedendoli cosa volesse dire con quelle parole così enfatizzate, Xantares se lo scrollò di dosso come fosse acqua.
    Smise di fare roteare la pistola e quell'interruzione fece sobbalzare Ayarra. Le nocche di entrambi i pugni erano sbiancate.
    «Io non insinuo niente, Verenia. La Watchtower nel peggiore dei casi vi accuserebbe di complicità, nel migliore invece la porre sotto ufficiale inchiesta per ritenzione d'informazione potenzialmente utile alla difesa dello Stato. In entrambi i casi la vostra figura politica verrebbe mutilata, fatta a pezzi dagli squali che portano l'Occhio Onnisciente sulla divisa.»
    Appena ebbe terminato quella constatazione, Xantares rincarò la dose: «Certo, io ed Ayarra saremmo costretti alla fuga, ma volete sapere una cosa? È una vita che scappo dalla Watchtower e dalle ombre. Sparirei nell'ombra nel giro di un quarto d'ora», sollevò lentamente la pistola verso il tavolino da caffè senza prendere la mira, nei suoi occhi balenò un lampo di potere, «E una volta calmate le acque, facciamo dopo due secoli, io potrei riapparire dal nulla. A quel punto voi sarete vecchia e stanca, distrutta dalla sfiducia che la Watchtower Guard ha infuso nei vostri confronti. Immagino il vostro sguardo nel vedermi riapparire identico a come mi vedete adesso, immagino il terrore e la rabbia che avreste sul volto, tutto solcato da rughe di vecchiaia che neanche il vostro potere possono combattere.»
    «La sua schiava invecchia come me: ad un certo punto l'abbandonereste e tramite i suoi ricordi io la troverei e farei uccidere dalla Watchtower Guard..nel caso accada quello che lei va farneticando.»
    «Ayarra non invecchia, Signora del Formicaio», replicò Xantares, calmo come il mare prima dello scatenarsi della tempesta.
    «Tempo fa mi salvò la vita, non serve che voi sappiate come. Per ricompensarla io le ho tolto la vecchiaia. Resterà sempre come la vedete ora: giovane e bella, grata a me come io lo sono a lei fino alla fine dei tempi.»
    Verenia si concesse il lusso di uno sguardo stupito. Le aveva tolto la vecchiaia?
    «Lei ha fatto cosa?»
    «Mi avete sentito bene, Verenia.»
    La Signora del Formicaio rimase attonita a fissare il sinrael. Costui aveva reso immortale una schiava, una cosa inferiore di natura! Il fatto che quella piccola risorsa dello stato con i capelli bianchi fosse immortale riempiva Verenia di rabbia: la giovinezza eterna era qualcosa che doveva avere lei, non una maledetta schiava presa da un qualche campo di concentramento!
    Respira, Verenia...respira. Non perdere la calma, sii lucida. Se l'ha fatto con una schiava, può farlo anche con te. Dagli una ragione, gettagli una carota che lo motivi. In fondo è solo un uomo. Tutti gli uomini sono facili da ingannare.
    «Che cosa vuole?», domandò la nobildonna cercando di assumere un tono di voce calmo e rilassante per il suo ascoltatore. Questi non ebbe il tempo di replicare, Verenia concluse prima la sua domanda: «Che cosa desidera? Posso farle avere qualsiasi cosa, signor Xeralla. Anche uno, due o più mondi... quello che vuole in cambio di quello che ha dato alla sua schiava.»
    Un sorriso sardonico brillò sul viso di Xantares. Snudando i denti, perfetti come ogni dettaglio del suo viso d'immortale, il sinrael domandò: «Chi tiene la lancia della parte giusta, ora?»

    I ruoli erano stati rovesciati. Con suo grande disappunto, Verenia si rese conto di essersi fatta trascinare dalla rabbia.
    La sua impulsività, normalmente sedata sotto la calma e la forza di una vera nobildonna, era emersa non appena gli era stato sbandierato innanzi agli occhi qualcosa che le mancava e che voleva avere.
    Non temere il declino della vecchiaia, rimanere nel momento di massimo splendore per l'eternità, in auge sopra ogni e qualsiasi uomo o donna di Solaria! Nell'impero dell'umanità, dove il proprio aspetto giocava un ruolo determinante grazie alla propaganda e ai mass media, avere una simile arma voleva dire essere automaticamente la vincitrice di ogni e qualsiasi sfida.
    Avrebbe potuto fare studiare la propria essenza divenuta immortale, sintetizzarla con effetti ridotti e venderla a tutti coloro che desideravano vivere qualche decennio in più senza la corruzione della vecchiaia.
    Il suo potere sarebbe stato tale da permetterle di proclamarsi forse anche imperatrice di Solaria!
    Imperatrice Veneria Prima-ed-Unica. Suonerebbe bene...io DEVO avere quel dono.
    «Mi dica solo ciò che desidera da me, Xantares. Proponga una cifra, chieda qualcosa...qualsiasi cosa. Lei dovrà pur averlo un sogno nel cassetto, un desiderio nascosto che normalmente saprebbe essere irrealizzabile. Me lo dica e io lo decuplicherò.»
    «Voi volete comprarvi la giovinezza eterna. Credete che sia una cosa che metto in vendita?»
    «Tutto è in vendita, signor Xeralla, persino l'Aula dei Senatori su Areth o il Dorato Trono di Aiuraon. Se si hanno le giuste possibilità, tutto è in vendita.»
    Xantares le riservò uno sguardo di sufficienza: «Non questo. Il dono che ho fatto ad Ayarra non si può comprare, né ottenere con un ricatto. Sono io a concederlo.»
    «Non le sto chiedendo di regalarmelo», sibilò Verenia, «le sto offrendo la possibilità di vendermi la sua merce di scambio a qualsiasi prezzo. Non esiste costo che io non possa affrontare.»
    Il giovane immortale la guardò accigliato.
    «Non avete capito: io non vendo le mie abilità! Non sono una puttana.»
    «Moderate il linguaggio, cavernicolo!», lo rimproverò Aurora. L'IA era innervosita dalla pistola che distrattamente il sinrael puntava al mobile sul quale era poggiato il suo proiettore. All'interno di quel ottagono metallico c'era tutta la sua memoria; se avesse sparato, lei sarebbe...
    Verenia schernì le parole dette da Xantares: «Dice di non esserlo, ma ne è convinto? Eppure è tramite essi che lei si guadagna da vivere. Vuole sapere una cosa?»
    Il sinrael annuì.
    «Normalmente voi cacciatori di taglie non dite nulla a noi estranei. Siete chiusi come delle corazze, ma appena si allungano dei crediti in più, ecco che diventate servizievoli e dalla lingua lunga. L'ho fatta tenere d'occhio dalla mia IA...ha scoperto cose molto interessanti su di voi.»
    «Non mentitemi, Signora del Formicaio. M'innervosisco quando la gente mi mente.»
    «Non le sto mentendo, signor Xeralla.»
    «Allora mi dica cosa avrebbe scoperto la sua IA. Fremo dal desiderio di sapere quali oscuri segreti ha scoperto sul mio conto quell'ammasso di...»
    «Sapeva di avere un clone? Sapeva di essere stato clonato dal governo?», la domanda di Verenia zittì Xantares nell'arco di un secondo. La nobildonna non avrebbe mai voluto arrivare a quel punto, ma la partita stava durando troppo. Non era normale che il suo avversario si rialzasse ed osasse costringerla ad una seconda mano. Per sottometterlo nuovamente aveva bisogno di qualcosa con cui tenerlo sulla corda.
    «Scusatemi? Non credo di aver capito...»
    Aurora approfittò dell'occasione per inserirsi nel discorso e sostenere la sua padrona. Con un cenno del viso fece comparire una videata recante una fotografia ed una lunghissima stringa di dati. La persona ritratta nella fotografia era quasi identica a Xantares.
    Il sinrael squadrò la fotografia: il suo sé ivi ritratto aveva lineamenti più affilati, i capelli erano tagliati molto corti, gli zigomi leggermente più alti come se le ossa fossero più solide e gli occhi ardevano di una luce eterea, più tenue di quella che balenava nei suoi quando liberava la sua forza.
    «Quello è un fotomontaggio!», disse Xantares scrollando le spalle, «io non sono così brutto.»
    «Ho pagato una cifra molto alta per mettere mano a quei documenti. Sono autentici della Watchtower Guard, forse riconoscerà il nome della responsabile...è una nostra conoscenza comune.»
    La sovrumana vista di Xantares scese di riga in riga fino alla firma digitale di colei che tirava le redini di uno dei più segreti ed importanti progetti militari della Confederazione di Solaria.
    Ne lesse il nome due volte: la prima fu interiore, quasi rivolgendo a sé stesso quelle parole. La seconda fu a voce. Il sinrael ringhiò due parole, sufficienti a fargli avvampare gli occhi di rabbia sacra.
    «Najira Avari.»
    Vereni annuì, ordinando al contempo ad Aurora di chiudere quel file per non permettere a Xantares di leggere altro. Questi scoccò un'occhiata malevola alla nobildonna, che sorrise compiaciuta dall'essere ritornata in posizione predominante.
    Adesso Xantares era nuovamente nelle sue mani e...
    Con uno scatto magnetico, la camera di focalizzazione della pistola ad aghi Thanatos avvampò di luce verde smeraldina. Un bagliore intenso e diffuso per mezza spanna lungo il cane dell'arma, di nuovo in attività dopo oltre due decenni di silenzio.
    «Cosa vuole fare, signor Xeralla?», chiese Verenia.
    «Eliminare il problema alla radice...»

    Il grilletto scattò, portando la sua minuta forma arcuata ad urtare gli smorzatori oliati posti in fondo al meccanismo d'avvio.
    La trasmissione elettro-magica, basata sull'invio di una chiave energetica attraverso una spinta di corrente che faceva da traino, entrò in funzione. Il simbolo fu trasportato, con una velocità in linea d'aria di duecento e settantasettemila chilometri al secondo, da un punto all'altro del cane.
    Il suo arrivo riattivò i vecchissimi sistemi di tiro dell'arma, assopiti in due decenni di sonno adagiato nella polvere.
    Con un sibilo magnetico, esistito per sole dodici frazioni di secondo, il Core Mnarch utilizzò l'energia accumulata per assemblare un proiettile: stretto in vita e di pochi quarti di millimetro più ampio in punta, l'ago imbevuto della magia thanatos fu fatto ascendere lungo la rotaia di tiro.
    Un tornado di vapore smeraldino sbuffò fuori dal Core Noveli ed irradiò con la sua presenza tutta la canna dell'arma; mezzo miliardo di minuscole particelle energetiche altamente volatili furono concentrate lungo l'asse principale da una schiera di simboli magici.
    L'ago Thanatos venne spinto da un impulso energetico lungo la rotaia di tiro. Attorno alla punta si raccolse una cometa miniaturizzata i cui strali d'energia snodarono le proprie sinuose braccia oltre la capocchia posta in fondo al proiettile.
    Iper-accelerato da tale scarica di energia tecno-magica, l'ago sfrecciò fuori dalla canna triangolare dell'arma. Un bagliore allo smeraldo abbacinò gli occhi di Ayarra e Verenia, costringendole a chiuderli per non sentire la retina dolere in risposta alla luce venefica.
    Volando con una traiettoria discendente, condotta alla velocità di crociera di tre virgola cinque chilometri al secondo, l'ago impattò contro il bersaglio disintegrandolo. Fu un colpo perfetto, mirato al centro del proiettore di Aurora.
    L'ottagono si frantumò in una folata di schegge annerite, il proiettile esaurì la propria forza contro il tavolino da caffè, perforandolo e proseguendo contro il pavimento; uno sbuffo di materiale sintetico polverizzato s'alzò da esso.

    Verenia osservò con un misto di rabbia ed indignazione la sua IA venire distrutta dalla forza bruta dell'ago Thanatos. I suoi occhi, ridotti a fessure cineree colme d'ira, volsero tutto il loro astio su Xantares. Come aveva osato?
    A Verenia non gliene importava niente di Aurora: era solo e semplicemente un oggetto, funzionale tanto quanto costoso. Ne poteva avere un migliaio di simili ammennicoli, ne poteva fare recuperare la memoria nel corso di un pomeriggio.
    Quello che le animava l'ira in corpo era stato l'atto del sinrael, non la sua vittima. Freddo, arrogante e con la pretesa di colpirla in qualche modo, un gesto che nasceva con la presunzione di eliminare la fonte del suo potere su di lui.
    Solamente un jarichans poteva agire in quel modo, dando per scontato che distruggere un componente fermasse l'intero macchinario.
    La mentalità di quella razza era rimasta ferma a sedici millenni prima, quando la Confederazione l'aveva scoperto. La mentalità di un pugno di tribù che non padroneggiavano nemmeno i segreti della polvere da sparo, che si vestiva ancora di pelli animali e che era stato convinto a seguire la Grande Marcia dalla semplice prospettiva d'incontrare ed uccidere nuovi avversari.
    Se avesse potuto, Verenia avrebbe scatenato una purificazione planetaria su Jaricho, sterminandone ogni forma di vita ivi presente.
    Jaricho non era indispensabile, lei sì. Xantares era uno sciocco arrogante, Verenia aveva più conoscenze, sapeva di più e disponeva di molto più potere.
    «Lei...», sibilò la nobildonna, interrotta sul nascere da Xantares.
    «Io.»
    Le aveva dato una risposta che non voleva dire niente, limitandosi a proferire due lettere con una voce fin troppo sicura di sé. Non aveva paura di lei, anzi. I suoi occhi al cobalto la guardavano dall'alto verso il basso con fare sprezzante.
    Verenia non aveva armi con sé, ma se avesse avuto una pistola tra le mani, probabilmente avrebbe sparato a bruciapelo sul sinrael. Non avrebbe utilizzato una sola pallottola, ma tutto il caricatore. La nobildonna non amava le portatrici di morte, non sapeva usarne nessuna: lasciava che fossero gli altri a combattere all'ultimo sangue, il suo campo di battaglia era la finanza.
    «Lei ha appena fatto un terribile errore, spero che se ne renda conto.» Nella sua voce non c'erano grida furenti, la sua rabbia si manifestava come una gelida cortina d'astio che avvolgeva ogni parola. Xantares si lasciò cadere la pistola ad aghi che con un tonfo sussultò contro il pavimento. Dalla canna a triangolo isoscele s'elevava un modico filo di fumo bianco-verdognolo.
    «Un errore?» disse il sinrael scuotendo il capo, «un errore...no, questa era vendetta.»
    «E per che cosa?»
    «Per avere svolto ricerche su di me, per aver scavato nella mia vita privata.» Fece un vago gesto con le dita della sinistra, come ad intendere qualcosa senza dirlo, quindi aggiunse: «Per avermi dato fastidio e perché era Intelligenza Abominevole.»
    Verenia fece un mezzo sorriso di sfida: « Farò segnare sul vocabolario questa sua modifica del significato della sigla IA. La farò intitolare postuma a lei e alla sua stupida schiava!»
    «Postuma?»
    «Non sa cosa voglia dire questa parola? Glielo spiego io, cacciatore di taglie: vuol dire dopo la morte. Nessuno mi sfida apertamente, nessuno.»
    Xantares non diede corda a quell'affermazione, innervosendo ancora di più la sua interlocutrice: «Voi non sapete niente, Verenia. Vi siete permessa di fare ricerche su di me...e lo avete fatto delegando il compito ad una darn di macchina. Non credo ad una sola parola di quello che ha detto.»
    «Si sbaglia a non farlo.»
    Io non so niente? Ma come osi? Ho frequentato l'Accademia di...
    «Voi dite? Per quello che mi riguarda ho fatto la cosa giusta. Che poi sia vero oppure no che sono stato clonato...beh, questo per me non ha importanza.»
    «Ed è questo che ci differenzia. Non lascerei mai perdere qualcosa che mi riguarda, indipendentemente dalla sua fonte. Il potere è dato dalla conoscenza.»
    Un boato d'impareggiabile potenza scoppiò nel salotto.
    «No, fermatevi!», lo pregò Ayarra. La schiava dai capelli bianchi aveva iniziato a temere per la vita della nobile Verenia dal momento in cui questa aveva minacciato il suo padrone.
    Una sensazione di opprimente claustrofobia era strisciata fuori dal corpo del sinrael e si era impadronita delle membra della nobile, un primo assaggio di quello che voleva farle provare. La schiava doveva convincerlo a desistere: per quanto fosse stata arrogante e presuntuosa, Verenia non meritava una simile sorte.
    Ayarra sapeva che cosa stava per accadere, sapeva quali emozioni animavano il cuore del suo padrone: ira nata davanti al comportamento della donna e sdegno, bruciante sdegno per l'affronto di vedersi tiranneggiato da quella che in fondo era una semplice mortale.
    Una volta, poco prima di cominciare a servire l'Immortale, Ayarra aveva avuto la disgrazia di vederlo davvero furioso, di guardare con i propri occhi come l'essere più vicino ai Signori di Azuras potesse scatenare una rabbia ancestrale, una distruzione devastante che riecheggiava come una tempesta di fulmini. Erano trascorsi alcuni anni dal giorno in cui Xan l'aveva portata via dal campo, ma nei suoi incubi tre erano le cose che ritornavano sempre: il freddo della regione, la pura ed onesta crudeltà dei secondini e l'odore di carne bruciata dopo che Xantares ebbe finito con loro.
    Ayarra non avrebbe mai potuto dimenticare quell'esplosione di luce, non si sarebbe mai potuta nascondere da quegli occhi fatti d'uno spettrale fuoco azzurro, occhi che al finire del massacro l'avevano guardata interdetti...ringraziava tutti gli dei, quelli di Solaria e quelli di Caylomia, per l'essersi trovata dietro il sinrael anziché davanti.

    L'illuminazione delle lampade s'affievolì, oscurata dall'ombra di una luce ben più potente. Il rombo che ne annunciò l'arrivo tuonò come il pezzo d'artiglieria di un corazzato, rimbombando distorto.
    Ma non fu l'elevata potenza del suono ad atterrire la nobildonna.
    Verenia sentì le proprie ginocchia farsi tremule, fragili. Il suo cuore mancò una dozzina di battiti e le balzò in gola. Si coprì gli occhi con la mano destra e strisciò i piedi all'indietro, un estenuante passo dopo l'altro per guadagnare la porta.
    Nel tempo necessario a sbattere le palpebre, il suo coraggio era svanito. L'inossidabile spirito con cui si batteva nella finanza, la presunzione che la caratterizzava dalla nascita, l'orgoglio di essere la nobile singolarmente più importante di tutto il formicaio...svanì tutto.
    Nell'arco di un secondo avvertì quasi quattro decenni di esperienze formative e carattere d'acciaio venire spazzati via.
    Il sinrael non aveva utilizzato magie, non l'aveva bersagliata con una stregoneria né si era abbassato ad usare un qualche incanto che demolisse lo spirito.
    Ayarra aveva capito cosa il sinrael volesse fare. Conosceva solo la superficie dei suoi poteri, quello che lui le aveva raccontato, e questo bastava a terrorizzarla. Prima di conoscere il suo padrone non avrebbe mai creduto che esistessero persone con simili capacità, oltre alla magia e ai suoi effetti.
    Verenia avvertì una massa d'aria compatta come un pugno occluderle le orecchie e gravarle sulle spalle, incurvandole. Resistendo all'impulso di lasciarsi cadere, la donna snudò i denti bianchi e perfetti in un autentico ringhio di frustrazione.
    Il suo corpo si rifiutava categoricamente di obbedire ai comandi che giungevano del cervello.
    Avrebbe voluto muoversi, colpire il viso del giovane con uno schiaffo per punirlo del suo comportamento oppure limitarsi a guardarlo con astiosa sufficienza; qualsiasi cosa, pur di potersi muovere.
    Lo desiderava ma non ne era capace.
    Il solo trascinare i piedi le costava una fatica immensa, come se le gambe fossero divenute di metallo piombato con mezza tonnellata di cemento ad alta gravità.
    Io...ho paura? Non può essere. I codardi non fondano imperi, muoiono schiacciati! Io non ho paura. Io non ho paura! Verenia, affrontalo! È solo un...cosa?
    Come era possibile? Cos'aveva sbagliato con Xantares? Come aveva fatto il loro incontro di lavoro a degenerare, a sfociare in un confronto impari? Era per qualcosa che lei aveva detto? Si era premurata di studiare il cacciatore di taglie, di conoscerne almeno a grandi linee il carattere per convincerlo senza difficoltà...non poteva aver sbagliato, non lei.
    Io non sbaglio mai!

    Un lampo, livido e veloce come il battito d'ali di una farfalla, nacque al centro della stanza.
    Azzerò ogni altra fonte luminosa imponendole il buio, la tenebra, il silenzio cromatico. Quel lampo era l'unico a potersi arrogare il diritto d'illuminare la stanza, anche solo per un secondo. Non era una luce artificiale, originata da qualche reazione tecno-magica, ma qualcosa di ancestrale incanalato nell'unico erede in terra di uno dei Signori di Azuras.
    Quella luce magica aveva il diritto di fare tacere le altre.
    Le iridi del cacciatore di taglie brillavano. Cerchi di energia ardente che attendevano di essere scatenati su colei che aveva osato minacciare un semidio e la sua protetta. Nell'aria risuonò uno schianto sinistro, come di metallo torturato e distrutto da una pressa gigante, e Verenia crollò sulle proprie ginocchia.
    Apriva e chiudeva le palpebre, unica parte del suo corpo ancora in grado di muoversi. Il capo lievemente rovesciato a sinistra, le braccia abbandonate lungo i fianchi con le unghie maniacalmente curate che toccavano il pavimento. Le labbra erano dischiuse, immobilizzate nel corso di un'espressione di stupore.
    Xantares la guardò accigliato, gli occhi spogli di quell'alone luminoso. L'appartamento era già tornato alla normalità, rispondendo a quel gesto di mascherata distensione.
    «Non volevo spingermi così oltre», commentò mentre si piegava sul ginocchio sinistro, «ma non sopporto chi ci minaccia, Ayarra.»
    La schiava si chinò per vedere in che stato versasse la nobile Verenia. Il sinrael istintivamente si era limitato, manifestando soltanto l'anticamera della sua essenza. Non aveva evocato il potere del suo kal, tanto meno l'aveva armato come in caso di duello con un demone. In un certo senso quello che aveva fatto non era paragonabile a ciò che Ayarra aveva visto la prima -e per fortuna- unica volta.
    Verenia in fin dei conti si era presa una sorta di debole buffetto sulla fronte, le guardie del campo di schiavi erano state travolte da un oceano in piena di potenza quasi divina.
    «Credo di comprendere la vostra azione, ma allo stesso tempo...non è stato giusto. L'avete uccisa.»
    Xantares borbottò qualcosa di difficilmente comprensibile mentre agitava la mano sinistra innanzi agli occhi della nobile; questi erano immobili, bloccati al centro dal crollo psicologico appena subito.
    «Nah, non è morta!», disse Xantares guardando la schiava.
    «Oh...ma voi ne siete sicuro?»
    «Stai tranquilla, Ayarra!», fece lui lasciandosi cadere la mano sul ginocchio, «L'ho “solo” mandata in coma.»
    «Coma?»
    «Non quel genere di coma, tranquilla. Nella foga mi sono lasciato un po' andare, ma hai fatto bene a fermarmi. Ancora un paio di secondi e l'anima di Verenia si sarebbe disintegrata. In quel caso avrei avuto serie difficoltà a riportarla indietro.»
    Ayarra passò un fazzoletto leggermente umido sul volto della nobildonna. Mentre le tergeva i sudori freddi dalla fronte si rivolse a Xantares: «Non vi seguo molto, perdonatemi per la mia ignoranza...io non so quasi niente della magia e dei suoi rituali.»
    Il sinrael aprì e chiuse lentamente la mano destra, rilassando i muscoli prima dell'operazione. Sul palmo era comparsa una chiave a prima vista molto intricata, composta da otto simboli magici che mentalmente aveva fuso assieme mentre parlava con Ayarra. Non era una formula taumaturgica perfetta, ma avrebbe discretamente svolto il suo lavoro...
    Verenia non si sarebbe ricordata di alcune parti del loro discorso e lui non avrebbe dovuto dare alcun genere di spiegazioni. Poteva ridurre tutto quell'incidente ad un piccolo diverbio oppure fargli assumere tinte apocalittiche come in effetti era quasi successo.
    Meglio sistemare e cancellare. Non tutto, ma le cose più gravi sì. Farò in modo che le rimanga bene in mente che sfidare chi è più potente di lei non è una buona idea. Il potere non è dato dal denaro.
    «Vedi», spiegò Xan rivolgendosi ad Ayarra, «le anime degli umani sono come degli steli di cristallo con le basi solide e il tronco molto fragile. Possono sostenere solo un certo peso prima di frantumarsi. Con peso intendo l'imponenza -la grandezza, la potenza, eccetera eccetera- di una determinata aura magica.»
    «In che condizioni è l'anima della Signora del Formicaio?»
    «Eh...non vuoi saperlo davvero...»
    «Vi vergognate a dirmelo? Se desiderate che io non sappia, allora così sia.»
    «Mh, non è questo. Hai presente quando un bicchiere si riempie di crepe che fanno questa ragnatela molto bella a livello estetico ma che da un momento all'altro potrebbe distruggersi?»
    «Il vostro è stato un paragone molto chiaro...»
    «Ecco, ehm...ho ridotto l'animo di Verenia più o meno ad un bicchiere pieno di crepe», un sorriso sghembo si dipinse sul viso del sinrael, «comunque non c'è da temere...ho curato cose peggiori, sai? Una volta ho resuscitato una persona, però...ehm...mi hanno aiutato. Un secondo e Verenia sarà quasi come nuova.»
    «Quasi?»
    Xantares si rabbuiò.
    «Non arerò tutti i suoi ricordi. Voglio che inconsciamente sappia che non deve minacciarci, che non deve nemmeno pensarci. Non ricorderà nulla di concreto, ma le rimarrà in mente che “Xantares Xeralla” non è nella categoria dei soggetti manipolabili a ricatti.»
    Ayarra guardò il suo padrone negli occhi, comprensiva ma allo stesso tempo preoccupata per ciò che era successo, sorprendendolo con un gesto che normalmente si proibiva di fare.
    «Vi pregherei di evitare l'ultima parte. La Signora del Formicaio ha sbagliato, ma non è giusto sfregiarla così...voi siete superiore ai nobili come Verenia. Non scendete ai loro livelli, siate integro come sempre. Ve ne prego.»
    «Ayarra!», esclamò Xantares, «Ha minacciato di ucciderci entrambi! Cosa dovrei fare? Lasciarle ogni ricordo ed augurarle di riuscire a pugnalarmi alle spalle la prossima volta? Se muoio io...che fine farai tu?»
    «Voi non potete morire», obbiettò la schiava. Le sue dita esili e bianchissime si strinsero attorno alla mano del sinrael. Il tocco di Ayarra era paragonabile ad una carezza di seta, impalpabile ma allo stesso tempo più bello di quanto si potesse immaginare.
    «Cancelli solo l'ultima parte, quando avete esagerato. Fatele credere che la sua IA si è guastata.»
    «Certo!», ridacchiò il sinrael, divertito dalla proposta della schiava. «Tutte le IA si guastano a causa di proiettili vaganti...bah, d'accordo! Hai vinto tu. Adesso m'invento qualcosa... dei, che casino!»
    Ho come l'impressione che alla fine di questa storia non ci guadagnerò nulla, anzi. Che cosa mi posso inventare?
     
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