La Storia Del Figlio

Racconto per adulti e inedito della Ward

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  1. …Alexis…
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    LA STORIA DEL FIGLIO
    di J.R Ward



    Per la mia famiglia
    Quelli che lo sono per sangue e quelli che lo sono per scelta
    Con tutto il mio amore



    1

    Claire Stroughton afferrò la tazza senza sollevare lo sguardo dalla bozza di testamento che stava revisionando.
    “Odio quando lo fai.”
    Claire lanciò un’occhiata alla sua assistente esecutiva dall’altro lato dell’ufficio. “Faccio cosa?”
    “Quella scena con il caffè tipo missile a ricerca termica.”
    “Io e la mia tazza abbiamo un rapporto molto stretto.”
    Martha spinse gli eleganti occhiali sul naso. “Allora è positivo che abbia il coperchio. Se non vai via subito farai tardi per l’appuntamento delle cinque.”
    Claire si alzò e si infilò la giacca. “Che ora si è fatta?”
    “Sono le due e ventinove. Per arrivare fino a Caldwell ci vogliono come minimo un paio d’ore con questo traffico e la tua auto ti aspetta giù all’ingresso. La tele conferenza con Londra è prevista tra sedici…quindici minuti. Cosa ti serve che sistemi prima del fine settimana lungo?”
    “Ho controllato le modifiche apportate ai documenti per la fusione Technitron e non sono contenta.” Claire scavalcò una pila di carta grande abbastanza per essere usata come ferma porta. “Mandale subito per corriere alla 50 Wall. Ho bisogno di un incontro con il consulente della controparte per le sette di martedì mattina. Vengono loro. Devo fare altro prima di andarmene?”
    “No, ma puoi dirmi una cosa. Che genere di sadico scocciatore organizza un incontro con il proprio avvocato alle cinque del venerdì pomeriggio nel fine settimana del Labour Day?”
    “Il cliente ha sempre ragione. E sadico è nell’occhio di che guarda.” Claire mise il testamento in una cartella porta documenti poi prese la sua borsa Birkin. Diede un’occhiata nell’ufficio spazioso e cercò di pensare al lavoro che aveva in programma di fare nel fine settimana. “Cosa ho dimenticato?”
    “Pastiglia.”
    “Giusto, giusto.” Claire usò quello che era rimasto nella tazza per mandare giù la medicina che prendeva ormai da dieci giorni. Gettò il tubetto arancione nel cestino della carta straccia e si rese conto che non aveva più starnutito né tossito da domenica. Evidentemente quella roba aveva funzionato.
    Dannati aerei. Stagni pieni di germi su ali.
    “Vieni con me.” Nell’andare verso l’ascensore, Claire diede un altro paio di ordini e nel frattempo fece cenni di saluto a qualcuno degli oltre duecento tra avvocati e impiegati che lavoravano da Williams, Nance & Stroughton. Martha riuscì a starle dietro nonostante il carico di carte che teneva in mano, che poi era ciò che rendeva grandiosa quella donna. Non importava cosa succedesse, lei c’era sempre.
    Arrivata davanti agli ascensori, Claire premette il bottone per scendere. “Okay, credo che sia tutto. Ti auguro di passare un buon fine settimana.”
    “Anche tu. Cerca di prenderti una pausa, d’accordo?”
    Claire entrò nell’ascensore rivestito di mogano. “Non posso. Abbiamo la Technitron martedì. Passerò qui la maggior parte del fine settimana.”
    Quattro minuti dopo era nella sua Mercedes e arrancava nel traffico di Manhatttan, cercando di uscire dalla città. Undici minuti dopo esserci riuscita era collegata con Londra.
    La tele conferenza durò cinquantatre minuti e fu un bene che Claire si trovasse praticamente in un parcheggio perché l’incontro virtuale non andò per il meglio. Cosa piuttosto normale. Fusioni e acquisizioni di compagnie multi miliardarie non erano mai facili e certo non per i deboli di cuore. Glielo aveva insegnato suo padre.
    Comunque, fu un sollievo riattaccare e focalizzare l’attenzione solo sulla guida. Caldwell, New York, si trovava forse a un centinaio di miglia fuori città, ma Martha aveva ragione. Il traffico era un inferno. Pareva che tutti ma proprio tutti stessero cercando di sgusciare fuori dalla Grande Mela e avessero deciso di usare la stessa strada di Claire.
    Di solito, non avrebbe preso tempo per andare a trovare un cliente a casa, ma la signorina Leeds era una caso speciale per un mucchio di ragioni e la donna non poteva certo venire giù in ufficio con facilità. Aveva cosa? Novantuno anni adesso?
    Cristo, forse era perfino più anziana. Il padre di Claire era stato l’avvocato della donna da sempre e dopo la sua morte due anni prima, Claire aveva ereditato la signorina Leeds insieme alle azioni dello studio di famiglia.
    Quando aveva preso anche il suo posto al tavolo dei soci, era diventata la prima donna nella storia di Williams, Nance & Stroughton a piazzarsi nel consiglio di amministrazione, ma si era guadagnata quel diritto, a dispetto di quello che c’era scritto nel testamento di Walter Stroughton. Era un fantastico avvocato nel settore F&A. Seconda solo a pochi, proprio pochi.
    La signorina Leeds era il suo unico cliente nel campo fondi e proprietà immobiliari ed era stato lo stesso per il padre di Claire. L’anziana donna valeva quasi duecento milioni di dollari, grazie alle quote che la famiglia deteneva in una serie di compagnie, tutte rappresentate dalla WN&S. Quelle partecipazioni erano il fulcro del rapporto. La signorina Leeds credeva nel rimanere con quello che si conosce e la sua famiglia era in affari con lo studio fin dalla quando era stato creato nel 1911. Quindi ecco qui. Una rock star delle F&A che si occupa di FPI per una CCR. O in linguaggio umano: una specialista di fusioni e acquisizioni che fa lavoro di fondi e proprietà immobiliare per una candidata alla casa di riposo.
    Che si ci creda o meno, l’algebra della relazione funzionava. Il testamento e i fondi in esso contenuti erano abbastanza chiari una volta che ci si prendeva la mano e la signorina Leeds era accomodante paragonata alla maggior parte dei clienti di Claire. La donna le faceva fare buoni affari anche quando si parlava del suo testamento. Affrontava le modifiche nel modo in cui alcuni fanno giardinaggio, e visto che l’onorario di Claire era di 650 dollari l’ora, il conto non faceva che aumentare. La signorina Leeds modificava in continuazione la parte da devolvere in beneficenza, dissodando una sezione, sfoltendo e ripiantando le cause filantropiche man mano che cambiava idea. Claire si era occupata delle due ultime modifiche per telefono, così questa volta, quando la signorina Leeds aveva richiesto un incontro di persona, c’erano stati buoni motivi per andare a farle una visita veloce.
    Almeno si sperava che fosse veloce.
    Claire era stata alla tenuta dei Leeds solo una volta in precedenza, per presentarsi dopo la morte di suo padre. L’incontro era andato bene. Evidentemente il padre di Claire aveva mostrato alla signorina Leeds delle foto della figlia e la donna ne aveva approvato il “portamento da signora”.
    Una presa in giro. Anche se era vero che gli abiti possono fare sia l’uomo che la donna e l’armadio di Claire era pieno di completi classici con gonne sotto al ginocchio, quella era solo apparenza. Claire aveva ereditato dal padre la testa per gli affari e anche una vena di aggressività. Poteva avere l’aspetto di una signora grazie ai capelli raccolti in uno chignon o alle pratiche scarpe decolleté, ma nell’intimo era un killer.
    La maggior parte delle persone percepivano la sua vera natura due minuti dopo averla incontrata e non solo perché era una brunetta. Ma era positivo che la signorina Leeds si fosse ingannata. Era della vecchia scuola e poi ancora, parte di una generazione dove le donne per bene non lavoravano affatto, meno che mai come potenti avvocati a Manhattan. Ad essere sinceri, Claire era rimasta sorpresa che la signorina Leeds non si fosse rivolta a uno degli altri soci, ma per lo più andavano d’accordo. Fino a quel momento, l’unico intoppo nella relazione era capitato durante il primo faccia a faccia quando la donna le aveva chiesto se fosse sposata.
    Claire era decisamente non sposata. Mai stata, non interessata, no grazie. L’ultima cosa che le serviva era un uomo che esprimesse la propria opinione su quanto facesse tardi allo studio o quanto lavorasse duro o dove avrebbero abitato o cosa avrebbero mangiato per cena. Eliza Leeds, comunque, era chiaramente del partito per cui puoi essere definita solo da ciò che ti siede accanto in pantaloni. Quindi Claire si era preparata al peggio quando le aveva spiegato che, no, non aveva marito.
    La signorina Leeds era sembrata scoraggiata ma poi si era ripresa ed era passata presto alla domanda sul fidanzato. La risposta era la stessa. Claire non lo aveva e non ne voleva uno e no, neanche niente animali. C’era stato un lungo silenzio. Poi la donna aveva sorriso, aveva fatto un breve commento del tipo “le cose sono proprio cambiate”, e la cosa era finita lì. Almeno sul momento.
    Ogni volta che la signorina Leeds chiamava l’ufficio, chiedeva se Claire avesse trovato un uomo perbene. Ma andava bene così. Non aveva importanza. Generazioni diverse. E la donna aveva preso le risposte negative con grazia, forse perché lei stessa non si era mai sposata. Evidentemente aveva una vena di romanticismo inappagata o qualcosa di simile.
    Se Claire doveva essere onesta, l’intera faccenda delle relazioni l’annoiava. No, non odiava gli uomini. No, il matrimonio dei suoi genitori non era stato un disastro. No, anzi il padre era stato una figura maschile di grande sostegno. Non c’era stato nessun rapporto terminato con una brutta rottura, nessun problema di auto stima, nessuna patologia, nessuna storia di abusi. Era intelligente, amava il suo lavoro ed era grata per la vita che aveva. Era solo che tutta quella storia della casa e del focolare andavano bene per gli altri. La conclusione? Aveva pieno rispetto per le donne che diventavano mogli e madri ma non invidiava il loro fardello di cura degli altri. E non aveva un vuoto nel cuore la mattina di Natale perché era sola. E non aveva bisogno delle partite di calcio o dei disegni appesi al frigorifero o dei regali fatti a mano per sentirsi appagata. E la festa della mamma e san Valentino erano solo due giorni qualunque sul suo calendario.
    Quello che amava era la battaglia nella sala del consiglio. La negoziazione. Gli infidi pro e contro della legge. La sferzata d’energia data dalla responsabilità di rappresentare gli interessi di una società da dieci miliardi di dollari, sia quando si trattava di fare una acquisizione o dismettere delle quote o licenziare un dirigente d’azienda per avere presentato un conto spese illecito a otto cifre.
    Era quello che la mandava su di giri e, dato che era una delle migliori nel suo campo e poco più che trentenne, era a un dannato buon punto nella vita. Il suo unico problema erano le persone che non capivano una donna come lei. Due pesi e due misure, come sempre. Gli uomini potevano passare l’intera vita dedicandosi al lavoro e si pensava solo che erano dei gran lavoratori, non che erano zitelle-zie antisociali con problemi d’intimità. Perché non poteva essere lo stesso per una donna?
    Quando finalmente apparve la campata del ponte di Caldwell, Claire era pronta per concludere l’incontro, tornare al proprio appartamento a Park Avenue e iniziare la preparazione per la resa dei conti di martedì per la Technitron. Diavolo, forse faceva perfino in tempo a ritornare in ufficio.
    La proprietà dei Leeds era formata da dieci acri di prati ben tenuti, quattro costruzioni e un muro che per scavalcarlo avevi bisogno dell’attrezzatura da scalata e dei muscoli di un allenatore personale. La casa padronale era un’enorme mucchio di pietra in cima a un’altura, una mostra ostentata di nuova ricchezza eretta durante il periodo di ritorno al gotico degli anni ’90 del diciannovesimo secolo. Secondo Claire assomigliava a qualcosa per cui Vincent Price avrebbe potuto pagare le tasse.
    Guidò lungo il vialetto circolare, parcheggiò di fronte all’entrata degna di una cattedrale e mise il cellulare in modalità vibrazione. Prese la borsa e si diresse verso la casa pensando che avrebbe dovuto tenere una croce in una mano e un pugnale nell’altra. Accidenti, se avesse avuto i soldi dei Leeds, avrebbe abitato in un posto un po’ meno tetro. Tipo un mausoleo.
    Un lato della porta era aperto prima che lei arrivasse al batacchio a forma di testa di leone. Il maggiordomo dei Leeds, che aveva centotto anni o giù di lì, fece l’inchino.
    “Buona sera, signorina Stroughton. Se posso domandare, la signora ha lasciato le chiavi nell’auto?”
    Si chiamava Fletcher? Sì, era così. E alla signorina Leeds piaceva che lo si chiamasse per nome. “No, Fletcher.”
    “Forse le vorrà dare a me? Nel caso in cui l’auto debba essere spostata.” Quando lei corrugò la fronte, lui disse piano, “Temo che la signorina Leeds non stia bene. Se dovesse arrivare un’ambulanza…”
    “Mi spiace sentirlo. È ammalata o…” Claire lasciò la frase in sospeso e gli diede le chiavi.
    “È molto debole. Prego, mi segua.”
    Fletcher aveva l’andatura lenta e dignitosa che ci si aspetta da un uomo che indossa l’uniforme del tradizionale maggiordomo inglese. Ed era in stile con gli arredi. La casa era ammobiliata in stile vecchia ricchezza, con strati su strati di opere d’arte, collezionate nel corso di generazioni, a soffocare le stanze. Il miscuglio senza prezzo di quadri, sculture e mobili degni di un museo risaliva a epoche diverse ma era tutto ben abbinato. Ma pensa a che manutenzione. Togliere la polvere a tutta quella roba doveva essere come tagliare l’erba su un terreno di venti acri con una falciatrice a mano: appena avevi finito dovevi ricominciare.
    Lei e Fletcher salirono l’enorme scalinata curvilinea fino al secondo piano e proseguirono lungo il corridoio. Su entrambi i lati, appesi alle pareti tappezzate di seta rossa, c’erano i ritratti dei vari Leeds, i volti pallidi brillavano contro lo sfondo scuro, gli occhi bidimensionali sembravano seguire i passanti. Nell’aria c’era profumo di cera al limone e legno antico.
    Al fondo, Fletcher bussò a una porta intarsiata. Quando udì un debole invito, spalancò il battente.
    La signorina Leeds era seduta su un letto grosso come una casa, sembrava piccola come un bambino, fragile come un foglio di carta. C’era pizzo bianco ovunque, scendeva dal baldacchino, pendeva a un passo dal pavimento tutto lungo il materasso, ricopriva le finestre. Era una scena invernale, completa di ghiaccioli e distese di neve, solo che non faceva freddo.
    “Grazie per essere venuta, Claire.” La voce della signorina Leeds era flebile al punto da essere un sussurro. “Perdonami per non essere in grado di riceverti come si conviene.”
    “Va tutto bene.” Claire si avvicinò in punta di piedi, timorosa di fare rumore o movimenti improvvisi. “Come si sente?”
    “Meglio di ieri. Forse ho preso l’influenza.”
    “Sta girando, ma sono contenta che si stia rimettendo.” Claire non pensò che fosse il caso di accennare al fatto che anche lei aveva dovuto prendere gli antibiotici per una cosa simile. “Comunque, sarò rapida e la lascerò tornare a riposarsi.”
    “Ma devi rimanere per il tè. Vuoi?”
    Fletcher si intromise. “Devo servire il tè?”
    “Per favore, Claire. Unisciti a me per il tè.”
    Diavolo. Lei voleva ritornare a casa.
    Il cliente ha sempre ragione. Il cliente ha sempre ragione. “Ma certo.”
    “Bene. Fletcher, porta il tè e servilo quando avremo finito con i miei documenti.” La signorina Leeds sorrise e chiuse gli occhi. “Claire, puoi sederti accanto a me. Fletcher ti porterà una sedia.”
    Fletcher non dava l’impressione di riuscire a portare neanche uno sgabello, tanto meno qualcosa su cui lei si potesse sedere.
    “Va bene,” disse Claire. “La prendo…”
    Senza neanche prendere fiato, il maggiordomo sollevò un poltrona antica che sembrava dover pesare quanto una Buick.
    Accidenti. Maggiordomo bionico, evidentemente. “Ah… grazie.”
    “Qui la signora starà comoda.”
    Sì e forse la signora la guiderà fino a casa se la sua auto non dovesse partire.
    Quando Fletcher se ne andò, Claire appoggiò il sedere sul trono e lanciò un’occhiata alla sua cliente. Gli occhi della donna erano ancora chiusi. “Signorina Leeds…è sicura di non volere che le lasci il testamento? Lo può riguardare a piacimento e io posso tornare per autenticare la firma.”
    Ci fu un lungo silenzio e Claire si chiese se la donna non si fosse addormentata. O, Dio non voglia…
    “Signorina Leeds?”
    Le labbra pallide si mossero appena. “Hai già un gentiluomo che ti fa la corte?”
    “Mi scusi…, ehm, no.”
    “Sei proprio adorabile, sai.” La signorina Leeds girò la testa sul cuscino e aprì gli occhi offuscati. “Vorrei che incontrassi mio figlio.”
    “Mi scusi?” La signorina Leeds aveva un figlio?
    “Ti ho sconvolta.” Il sorriso che le tendeva la pelle sottile era triste. “Sì. Sono…una madre. È successo tanto tempo fa e in segreto, sia il fatto che la nascita. Mantenemmo tutto sotto riserbo. Mio padre insistette e aveva ragione a fare così. Ecco perché non mi sono mai sposata. Come avrei potuto?”
    Porca…miseria. A quei tempi, quando che fosse, le donne non avevano figli fuori dal matrimonio. Lo scandalo sarebbe stato tremendo per una famiglia in vista come i Leeds. E…beh, forse era quello il motivo per cui la signorina Leeds non aveva mai fatto cenno a un figlio nel suo testamento. Aveva lasciato il grosso della proprietà a Fletcher perché le vecchie abitudini sono dure a morire.
    “Piacerai a mio figlio.”
    Okay, così proprio non andava. Se la donna aveva avuto un bambino quando era poco più che ventenne, il ragazzo doveva avere settanta anni adesso. Ma a parte quello, il cliente potrà avere sempre ragione ma non esisteva che Claire si prostituisse solo per restare in affari.
    “Signorina Leeds, non credo che…”
    “Lo incontrerai. E gli piacerai.”
    Claire assunse il suo tono più diplomatico, quello ultra calmo e ultra ragionevole. “Sono certa che è un uomo magnifico, ma ci sarebbe un conflitto di interessi.”
    “Lo incontrerai…e gli piacerai.”
    Prima che Claire potesse tentare un altro approccio, Fletcher ritornò spingendo un grosso carrello con sopra abbastanza argenteria da poter passare per una vetrina di Tiffany. “Servo adesso, signorina Leeds?”
    “Dopo i documenti, per favore.” La signorina Leeds allungò una mano varicosa ma le unghie erano limate perfettamente e smaltate di rosa. Forse Fletcher aveva anche il diploma da estetista. “Claire, leggeresti per me?”
    I cambiamenti non erano complicati e non lo fu neanche ottenere l’approvazione della signorina Leeds, cosa che faceva sembrare la visita completamente inutile. Quando la fragile mano si strinse intorno alla Montblanc di Claire e vergò una tremula approssimazione di “Eliza Merchant Castile Leeds” sull’ultima riga, Claire cercò di non pensare alle quattro ore di tempo lavorativo perse o al fatto che non riusciva a sopportare di dover coccolare le persone.
    Claire autenticò la firma, Fletcher firmò in qualità di testimone e poi i documenti tornarono nella valigetta.
    La signorina Leeds tossì leggermente. “Grazie per aver guidato fino a qui. So che è stato un disturbo ma l’apprezzo davvero.”
    Claire guardò la donna stesa nel mare di frivolo pizzo bianco.
    È un letto di morte, pensò. E la Morte è in attesa qui vicino, tamburella il piede e controlla l’orologio.
    Era difficile non sentirsi un verme. Cavolo, era proprio un’ufficiale, vera stronza in carriera, dura come la pietra, se si preoccupava per un paio di ore perse quando sembrava che alla signorina Leeds ne rimanessero così poche.
    “È stato un piacere.”
    “Adesso il tè,” disse la signorina Leeds.
    Fletcher spinse in avanti il carrello di ottone e versò quello che dal profumo doveva essere Earl Grey in una tazzina di porcellana.
    “Zucchero, signora?” chiese il maggiordomo.
    “Sì, grazie.” Claire odiava il tè ma la botta di zucchero avrebbe reso più accettabile mandarlo giù. Quando Fletcher le porse la roba, Claire notò che c’era una sola tazza. “Lei non ne prende, signorina Leeds?”
    “Niente per me, temo. Ordini del dottore.”
    Claire bevve un sorso. “Che tipo di Earl Grey è? Ha un sapore diverso da quelli che ho assaggiato in precedenza.”
    “Ti piace?”
    “Veramente, sì.”
    Quando Claire ebbe finito di bere, la signorina Leeds chiuse gli occhi con una strana espressione, quasi di sollievo, e Fletcher portò via la tazzina vuota.
    “Bene, credo che farò meglio ad andare, signorina Leeds.”
    “Piacerai a mio figlio,” sussurrò l’anziana donna. “Ti sta aspettando.”
    Claire sbatté le palpebre e fece ricorso a tutto il tatto che possedeva. “Mi spiace ma devo ritornare in città. Forse potrei incontrarlo qualche altra volta?”
    “Ha bisogno di incontrarti adesso.”
    Claire sbatté di nuovo le palpebre e udì il ritornello di suo padre nella testa: Il cliente ha sempre ragione. “Se è importante per lei, potrei…” Claire deglutì. “Io, ah…potrei…”
    La signorina Leeds fece un piccolo sorriso. “Non sarà tanto male per te. È come suo padre. Una bestia adorabile.”
    Claire si stropicciò gli occhi. C’erano due signorine Leeds sul letto. Veramente, c’erano due letti. Quindi quello voleva dire che c’erano quattro signorine Leeds? O otto?
    La signorina Leeds guardò Claire con disarmante chiarezza e un distacco che metteva a disagio. “Non devi aver paura di lui. Riesce a essere piuttosto gentile quando è dell’umore. Non cercherei di scappare, però. Dopo tutto, non farebbe altro che prenderti.”
    “Che…” La bocca di Claire era secca e impastata e quando udì un rumore alla sua sinistra, era come se il suono provenisse da molto lontano.
    Fletcher tolse il vassoio d’argento dal carrello d’ottone e lo appoggiò sul comò. Quando tornò al carrello, allungò un pannello nascosto sul fondo e la cosa diventò una specie di lettiga.
    Claire sentì le ossa cedere poi crollò del tutto. Quando si accasciò su un lato della poltrona, Fletcher la prese in braccio e la trasportò al carrello con la stessa facilità con cui aveva trasportato la pesante poltrona.
    La stava adagiando sul carrello quando la vista cominciò a offuscarsi. Con disperazione cercò di rimanere aggrappata allo stato di coscienza mentre veniva spinta lungo il corridoio verso un ascensore vecchio stile in vetro e ottone. L’ultima cosa che vide prima di svenire fu il maggiordomo che premeva il pulsante con la lettera “C” per cantina.
    L’ascensore sussultò e lei si inabissò con esso, cadendo nell’oblio.

    2

    Claire si rigirò nel suo letto, sentiva velluto sotto le dita e morbido cotone egiziano sul viso. Mosse la testa su e giù sul soffice cuscino, consapevole che le tempie le martellavano e aveva una leggera nausea.
    Che sogno strano…la signorina Leeds e il maggiordomo. Il tè. Il carrello. L’ascensore.
    Dio, la testa le faceva male ma che cos’era quel meraviglioso profumo? Spezie fragranti…come cologna maschile, una di cui non aveva mai sentito l’odore prima. Fece un respiro profondo e per reazione il suo corpo si scaldò. Passò la mano sulla trapunta di velluto, sembrava pelle…
    Aspetta un minuto. Lei non aveva nessuna trapunta di velluto sul suo letto.
    Aprì gli occhi…e fissò una candela. Che stava su un comodino che non era il suo.
    Il panico le ruggì in petto ma la letargia prevalse sul suo corpo. Lottò per alzare la testa e quando alla fine riuscì a sollevarla, tutto si mise a girare. Non che avesse davvero importanza. Non riusciva a vedere oltre la debole luce che si spandeva sul letto.
    Era circondata da una vasta oscurità color inchiostro.
    Udì uno strano suono, qualcosa in movimento. Metallo contro metallo. Qualcosa che si spostava. Che veniva verso di lei.
    Volse lo sguardo in direzione del suono, la bocca aperta, un urlo che le saliva in gola solo per incagliarsi sotto la lingua.
    C’era una forma scura e massiccia ai piedi del letto. Un enorme…uomo.
    Il terrore le fece venire i sudori freddi e un fiotto di adrenalina le schiarì la mente. Allungò le mani in cerca di qualcosa che potesse usare come arma. La candela, con il pesante porta candela in argento, era l’unica cosa. Fece per afferrarla…
    Una mano si strinse sul suo polso.
    Senza pensarci, cercò di sgusciare via, i piedi appallottolarono la trapunta di velluto mentre il corpo si dibatteva. Ma non fece differenza. La presa era d’acciaio.
    Eppure non dolorosa.
    Una voce si fece strada nella densa oscurità. “Per favore… non ti farò alcun male.”
    Le parole vennero pronunciate in un lungo sospiro di tristezza, e per un momento Claire smise di lottare. Un tale dolore. Una tale penetrante solitudine. Una voce maschile talmente bella.
    Svegliati, Claire! Che diavolo stava facendo? Simpatizzava con il tipo che la tratteneva con una presa micidiale?
    Scoprì i denti e si avventò verso il pollice dell’uomo, pronta a morderlo per liberarsi e poi a mollargli una ginocchiata là dove avrebbe avuto maggior effetto. Non ne ebbe la possibilità. Con un lieve slancio, l’uomo la mise a pancia sotto e con cautela le trattenne le braccia dietro alla schiena. Lei girò la testa di lato così da riuscire a respirare e cercò di scrollarselo di dosso.
    L’uomo non le faceva male. Non la toccava in modo inappropriato. Solo la tratteneva senza stringere mentre lei lottava, e quando alla fine si fu stancata, la lasciò subito andare. Claire ansimava ma sentì le catene che venivano trascinate nell’oscurità sulla sua sinistra.
    Quando i polmoni smisero di pompare con violenza, con un grugnito disse, “Non puoi tenermi qui.”
    Silenzio. Neanche un respiro.
    “Mi devi lasciare andare.”
    Dove diavolo era? Merda… quel sogno di Fletcher era stato reale. Quindi doveva trovarsi da qualche parte nella tenuta dei Leeds.
    “Qualcuno mi verrà a cercare.”
    Era una bugia. Era un fine settimana di vacanza e la maggior parte degli avvocati del suo studio si sarebbe portato il lavoro alla casa di villeggiatura, quindi nessuno avrebbe sentito la sua mancanza se non si fosse presentata in ufficio come aveva deciso di fare. E se qualcuno avesse cercato di raggiungerla e avesse trovato la segreteria telefonica, con probabilità avrebbe pensato che si era finalmente fatta una vita e si stava prendendo un po’ di riposo per il Labour Day.
    “Dove sei?” chiese e sentì l’eco della sua stessa voce. Quando non ci fu risposta si chiese se non fosse stata lasciata sola.
    Allungò una mano, prese la candela e usò il debole bagliore per dare un’occhiata in giro. Il muro dietro la testata di legno intarsiato era fatto della stessa roccia grigio chiaro della facciata della casa padronale dei Leeds, così ebbe la conferma di dove si trovasse. Il letto su cui era seduta era ricoperto di velluto blu scuro ed era alto sul pavimento. Addosso aveva una vestaglia bianca e la propria biancheria intima.
    Quello era tutto ciò che era in grado di accertare.
    Scivolò giù dal bordo del materasso, le gambe erano instabili e cadde quando le ginocchia le cedettero. Un po’ di cera le scivolò sulla mano e le bruciò la pelle, il pavimento di pietra le ferì una caviglia. Trattenne il respiro e si trascinò su aggrappandosi alla trapunta.
    La testa era messa male, dolorante e confusa. Si sentiva lo stomaco come pieno di colla e puntine da disegno. E il panico non fece che peggiorare entrambe quelle belle sensazioni.
    Allungò una mano e si mise a camminare trascinando i piedi. Teneva la candela quanto più in avanti potesse. Quando andò a sbattere contro qualcosa, lanciò un urlo e fece un salto all’indietro, fino a che non si rese conto di cos’era quel irregolare schema verticale.
    Libri. Libri rilegati in pelle.
    Protese di nuovo la candela e si spostò verso sinistra, tastando con la mano. Altri libri. Altri…libri. Libri ovunque, organizzati per autore. Era nella sezione dedicata a Dickens, e stando alla filigrana d’oro sui dorsi, quelle dovevano essere delle dannate prime edizioni.
    Non erano impolverati, come se qualcuno li pulisse con regolarità. O li leggesse.
    Alcune infinite iarde dopo, arrivò a una porta. Spostò la candela su e giù e cercò di trovare un pomello o una maniglia, ma non c’era niente che contrassegnasse il legno antico a parte neri cardini di ferro. A destra sul pavimento c’era qualcosa grosso come un porta pane, ma non riusciva a capire cosa fosse.
    Si tirò su e cominciò a battere i pugni sulla porta.
    “Signorina Leeds! Fletcher!” Andò avanti a urlare per un po’ e lanciò anche un grido bello lungo con la speranza di mettere in allarme qualcuno. Non venne nessuno.
    Alla paura fece seguito la rabbia e lei diede il benvenuto all’aggressività.
    Era spaventata ma anche incavolata e continuò ad aggirarsi per la stanza. Libri. Solo libri. Dal pavimento al soffitto, dovunque fosse. Libri, libri, libri…
    Claire si fermò e all’improvviso si calmò. “È tutto un sogno. Solo un sogno.”
    Prese un bel respiro…
    “In un certo senso, è così.” Quella voce maschile profonda e risonante la fece voltare di colpo e andò a sbattere con la schiena contro una pila di libri.
    Non mostrare paura, pensò. Quando sei faccia a faccia con il nemico, non mostrare paura.
    “Lasciami uscire da questa cazzo di stanza. Subito.”
    “Fra tre giorni.”
    “Scusami?”
    “Rimarrai qui con me per tre giorni. E poi mamma ti libererà.”
    “Mamma…?” Quello era il figlio della signorina Leeds!
    Claire scosse la testa e le tornarono in mente frammenti della conversazione che aveva avuto con la donna, ma non riusciva a fermarsi su nulla di razionale.
    “Tenermi contro la mia volontà è illegale…”
    “E dopo tre giorni, non ricorderai nulla. Né dove sei andata né il tempo trascorso qui. Nemmeno me. Di questa esperienza non rimarrà nulla.”
    Dio… quella voce era ipnotica. Così triste. Così morbida e bassa…
    Catene trascinate sul pavimento, il suono sempre più forte a ricordarle che doveva aver paura di lui. “Non avvicinarti.”
    “Mi dispiace. Non posso aspettare.”
    Claire si precipitò verso la porta e batté il pugno sul legno, i suoi movimenti spasmodici e convulsi fecero schizzare cera ovunque. Quando la fiamma della candela si spense, Claire fece cadere il portacandele d’argento che rotolò sul pavimento, e si mise a tempestare i solidi pannelli con entrambi i pugni.
    Le catene si avvicinarono; si stava dirigendo verso di lei. Terrorizzata e sulla soglia della pazzia, Claire artigliò la porta e le unghie lasciarono lunghe tracce sul legno.
    Due mani ricoprirono le sue e le fermarono. Oh, Dio, era su di lei. Proprio dietro di lei.
    “Lasciami andare!” urlò Claire.
    “Non ti farò alcun male,” disse lui piano, con gentilezza. “Non ti farò alcun male…” Continuò a parlarle, parola dopo parola fino a che lei non cadde in una specie di trance.
    Il corpo le formicolava mentre l’odore di lui le riempiva le narici. Era lui la fonte di quel profumo speziato, oscuro, la deliziosa fragranza di tutto ciò che c’è di maschio, potente e sensuale. Il centro della sua femminilità divenne turgido, pesante, bagnato…
    Sconvolta dalla sua stesa reazione, Claire cercò di liberarsi. “Non mi toccare.”
    “Rimani ferma.” Le aveva parlato direttamente nell’orecchio. “Non prenderò molto questa prima volta e non darti pensiero. Quando lascerai questo luogo, la tua virtù sarà ancora intatta. Non posso giacere con te.”
    Non avrebbe dovuto fidarsi. Avrebbe dovuto essere terrorizzata. Invece, quelle mani gentili, quella voce pacata e profonda, quel profumo sensuale calmarono le sue paure. Ed era quella la cosa che la spaventava di più.
    La lasciò andare e le mise una mano sui capelli. Le tolse le forcine una a una fino a che i capelli non le ricaddero sulle spalle. “Adorabili,” sussurrò.
    Claire sapeva che avrebbe dovuto scappare. Ma per la verità non voleva allontanarsi da lui. “È buio. Come fai a sapere come sono…”
    “Ti vedo perfettamente.”
    “Io non vedo nulla.”
    “Meglio per te.”
    Era brutto? Storpio? Deforme? E anche se lo fosse stato? Sapeva che non le sarebbe importato. Lo avrebbe preso comunque. Anche se, Gesù Cristo…. Perché?
    “Mi spiace di affrettare questa cosa,” disse lui con voce roca. “Me ne serve solo quanto basta per calmarmi.”
    Claire udì un sibilo nel momento in cui le spostò i capelli da un lato. Due punte affilate e brucianti le affondarono nel collo, una dolce scarica di dolore. Claire incurvò la schiena e rimase senza fiato. Lui la strinse tra le braccia e la tenne stretta a quello che era un enorme corpo maschile. Ansimò e cominciò a succhiare.
    Sangue… lui stava… bevendo il suo sangue. E oh, Dio, era fantastico.
    Claire, per la prima volta in vita sua, svenne.
    Quando si svegliò, era sul letto, sotto le lenzuola, con addosso ancora la vestaglia. L’oscurità diffusa la fece piagnucolare come non avrebbe mai creduto di poter fare, ma non c’era nulla a cui aggrapparsi, nessuna realtà da afferrare. Si sentiva come se stesse affogando in un mare oleoso e denso, i polmoni si bloccarono per ciò che non riusciva a vedere.
    L’ansia fece scattare tutta una serie di allarmi nella sua testa e cominciò a sudare freddo. Sarebbe impazzita…
    Una candela si accese accanto a lei e illuminò il comodino e il vassoio d’argento colmo di cibo che c’era posato sopra. Un momento dopo un’altra candela si accese dall’altro lato dell’enorme letto. E poi un’altra in alto sugli scaffali accanto alla porta. E un’altra in quello che doveva essere un bagno. E…
    Così una dopo l’altra, senza che nessuno le accendesse. Cosa che avrebbe dovuto spaventarla a morte, ma Claire era troppo ansiosa di riuscire a vedere per fregarsene di come la luce veniva accesa.
    La stanza era molto più grande di quanto si fosse aspettata, e il pavimento, le pareti, il soffitto erano fatti tutti di quella pietra grigia. L’unico pezzo di mobilio di rilievo a parte il letto era una scrivania grossa quanto un tavolo per banchetti. La superficie lucida era ricoperta di fogli bianchi e alte pile di volumi rilegati in pelle nera. Dietro di essa troneggiava una poltrona che era spostata di lato come se qualcuno ci fosse stato seduto e poi si fosse alzato velocemente.
    Dov’era l’uomo?
    Claire spostò lo sguardo verso l’unico angolo rimasto al buio. E seppe che era lì. A guardarla. In attesa.
    Claire ricordava la sensazione di lui che si appoggiava alla sua schiena e si portò una mano sul collo. Non sentì… nulla. Beh, forse non proprio nulla. C’era due piccole protuberanze, appena percettibili. Come se il morso fosse avvenuto settimane e settimane prima.
    “Che cosa mi hai fatto?” chiese. Anche se lo sapeva. E oh, Dio… le implicazioni erano orribili.
    “Perdonami.” Quella sua adorabile voce era tesa. “Mi rammarico per ciò che devo prendere da un innocente. Ma ho bisogno di nutrirmi altrimenti morirò e non ho scelta. Non mi è permesso di lasciare le mie stanze.”
    La vista di Claire andò per un momento in pausa e poi ritornò con una patina a quadri: il genere di cosa che capita prima di svenire. Porca… miseria.
    Passò un bel po’ di tempo prima che Claire riuscisse di nuovo a pensare razionalmente e il vuoto cognitivo venne riempito con visioni tratte da Hollywood: non morto, pallido, malvagio… vampiro.
    Tremava talmente che le battevano anche i denti e si raggomitolò su se stessa, con le ginocchia strette al petto. Cominciò a dondolarsi su e giù e le venne in mente che non aveva mai provato tanta paura in tutta la sua vita.
    Era un incubo. Che stesse sognando o meno, quello era un completo incubo.
    “Sono infettata?” chiese.
    “Sei… vuoi dire, ti ho trasformata in ciò che sono io? No. Assolutamente no. No.”
    Spronata dall’istinto di fuggire, Claire schizzò fuori dal letto e si precipitò verso la porta. Non andò lontana. La stanza le girava intorno e lei inciampò sui suoi stessi piedi. Allungò una mano e afferrò i libri per non cadere.
    Anche lui l’afferrò, così veloce che sembrava essersi smaterializzato da un posto all’altro. Le sue mani attente la tenevano solo quel tanto che era necessario. “Devi mangiare.”
    Claire si tenne a uno scaffale e notò, senza alcun motivo apparente, che era di fronte alla collezione completa delle opere di George Eliot. Forse era quello il motivo per cui l’uomo parlava come se fosse ancora nell’epoca vittoriana. Leggeva libri del diciannovesimo secolo da quando, chissà quando, si trovava lì.
    “Per favore,” implorò la bellissima voce. “Devi mangiare…”
    “Devo andare in bagno.” Claire guardò verso l’angolo rivestito di marmo dall’altro lato della stanza. “Dimmi che c’è un gabinetto lì dentro.”
    “Sì. scoprirai che non c’è la porta, ma distoglierò lo sguardo.”
    “Fai così.”
    Claire si liberò dalla presa e si lanciò in avanti, troppo sotto shock e sconvolta per preoccuparsi della privacy. E perché se quell’uomo avesse voluto approfittarsi di lei avrebbe potuto farlo in numerose occasioni. E perché c’era onore nel timbro della sua voce. Se diceva che non avrebbe guardato, era così.
    Solo che, Cristo, era un’idiota. Perché diavolo avrebbe dovuto fidarsi di qualcuno che non conosceva? E con cui era imprigionata?
    Ma, forse, il motivo in parte era quello. Anche lui era bloccato lì sotto, evidentemente.
    A meno che non stesse mentendo.
    Il bagno era rivestito di marmo color crema dal pavimento al soffitto, c’era una vasca da bagno vecchio stile e un lavandino con piedistallo. Non si rese conto che non c’erano specchi fino a quando, dopo aver tirato l’acqua, andò a lavarsi le mani.
    Si sciacquò il viso e si asciugò con uno degli asciugamani bianchi ben piegati che trovò. Poi unì le mani a conchiglia sotto il getto d’acqua e bevve. Lo stomaco le si era calmato un po’ ed era pronta a scommettere che le cose sarebbero andate anche meglio con un po’ di cibo ma non aveva intenzione di ingoiare niente di quello che le veniva offerto. L’aveva fatto una volta con una tazza di tè e guarda dove diavolo era finita.
    Di nuovo in camera da letto, lanciò uno sguardo verso l’angolo in ombra. “Voglio vedere il tuo viso. Adesso.”
    Non c’erano rischi ulteriori a farlo. Claire sapeva già di trovarsi alla tenuta dei Leeds e chi fosse quell’uomo, il figlio della signorina Leeds. Ce ne era già abbastanza senza che dovessero ucciderla per impedirle di fare una identificazione.
    “Mi mostrerai il tuo viso. Adesso.”
    Ci fu un lungo silenzio. Poi Claire sentì le catene e lui fece un passo nella luce.
    Claire rimase senza fiato e si portò una mano tremante alla bocca. Era bello quanto la sua voce, bello come il suo profumo, bello come un angelo… e non sembrava avere più di trenta anni.
    Il suo corpo alto un metro e novantacinque era ricoperto da una vestaglia di seta rossa che toccava il pavimento ed era legata in vita con una fusciacca ricamata. I capelli erano neri come la notte, scostati dal viso e gli ricadevano in morbide onde fino a … Dio, probabilmente fino alla vita. E il suo viso… Era di una perfezione stupefacente, la mascella squadrata, le labbra carnose e un naso dritto a completamento di tanta maschia magnificenza.
    Claire non riusciva a vedergli gli occhi, però. Erano abbassati, lo sguardo fisso sul pavimento.
    “Mio… Dio,” sussurrò. “Sei irreale.”
    Lui si ritirò di scatto nell’ombra. “Per favore, mangia. Dovrò… tornare ancora da te. Presto.”
    Claire si immaginò lui che la mordeva… che succhiava al suo collo… ingoiando ciò che le scorreva nelle vene. E dovette ricordare a se stessa che si trattava di una violenza. E che lei era tenuta prigioniera contro la sua volontà per essere usata da… un mostro.
    Claire abbassò lo sguardo. Una parte della catena che si spostava con lui era ancora visibile. Quella cosa era grossa quanto il suo polso e lei suppose che fosse chiusa intorno a una caviglia dell’uomo.
    Era evidente che lui fosse prigioniero. “Perché sei incatenato qui sotto?”
    “Sono un pericolo per gli altri. Adesso, mangia. Ti imploro.”
    “Chi ti tiene così?”
    Ci fu solo silenzio. Poi, “Il cibo. Devi mangiare il cibo.”
    “Scusa. Non se ne parla che tocchi quella roba.”
    “Non è stato manipolato.”
    “Questo è quello che pensavo dell’Earl Grey di tua madre.”
    Le catene sferragliarono quando lui tornò alla luce.
    Sì, erano chiuse intorno alla sua caviglia. La sinistra.
    Attraversò la stanza badando di starle il più lontano possibile e di non guardarla. La sua andatura era agile e aggraziata come quella di un animale, le spalle si muovevano mentre camminava sul pavimento di pietra. Il potere in lui era… spaventoso. Ed erotico. E triste.
    Era come una magnifica bestia allo zoo.
    Sedette lì dove lei era stata sdraiata e prese il vassoio d’argento con il cibo. Sollevò il coperchio dal piatto e lo posò sul comodino. Claire sentì un magnifico aroma di rosmarino e limone. Srotolò il tovagliolo di lino, prese una pesante forchetta d’argento e assaggiò l’agnello, il riso, i fagiolini. Poi si tamponò la bocca con il tovagliolo damascato, pulì la forchetta e rimise il coperchio sul piatto.
    Appoggiò le mani sulle ginocchia e rimase a testa china. I suoi capelli erano magnifici, così folti e lucenti, gli ricadevano oltre le spalle e le punte si arricciavano fino a sfiorargli le cosce e la trapunta di velluto. A dire il vero, le ciocche erano di due colori, un rosso vinaccia e un nero così scuro da sembrare quasi blu.
    Claire non aveva mai visto una tale combinazione di colori. Almeno non come crescita naturale sulla testa di qualcuno. Ed era dannatamente sicura che la cara mammina non gli mandasse una parrucchiera lì sotto tutti i mesi per la tinta.
    “Attenderemo,” disse lui. “E tu potrai vedere che il cibo non è stato manipolato.”
    Claire lo fissò. Anche se era enorme, era così immobile, riservato, modesto che non ne aveva paura. Naturalmente, la parte logica del suo cervello le ricordò che avrebbe dovuto essere terrorizzata. Ma poi pensò al modo in cui l’aveva trattenuta senza farle del male la prima volta che si era svegliata. E il fatto era che sembrava che fosse lui ad avere paura di lei.
    Ma poi guardò la catena e disse a se stessa che forse era meglio se saliva sul treno del pensiero razionale. Quella cosa era lì per un motivo.
    “Come ti chiami?” gli chiese.
    Lo sguardo dell’uomo si rabbuiò immediatamente.
    Dio, la luce che ricadeva sul suo viso lo trasformava praticamente in qualcosa di etereo. Eppure la configurazione ossea era tutta maschile, dura e senza compromessi.
    “Dimmelo.”
    “Non ho un nome,” disse.
    “Che significa che non hai un nome? Come ti chiamano le persone?”
    “Fletcher non mi chiama con nessun nome. Mamma aveva l’abitudine di chiamarmi figlio. Quindi suppongo che sia quello il mio nome. Figlio.”
    “Figlio.”
    Strofinò i palmi su e giù sulle cosce e la seta rossa della vestaglia si mosse con essi.
    “Da quanto sei qui sotto?”
    “Che anno è?” Quando Claire glielo disse, lui rispose, “Cinquantasei anni.”
    Claire smise di respirare. “Hai cinquantasei anni?”
    “No. Sono stato condotto qui sotto quando avevo dodici anni.”
    “Buon Dio…” Okay, era chiaro che avevano aspettative di vita diverse. “Perché ti hanno messo in questa cella?”
    “La mia natura iniziò a farsi notare. Mamma disse che in questo modo era più sicuro per tutti.”
    “Sei rimasto qui sotto per tutto questo tempo?” Stava di certo impazzendo, pensò Claire. Non riusciva a immaginarsi di restare da sola per decenni. Non c’era da sorprendersi che non la guardasse negli occhi. Non era abituato a interagire con nessuno. “Qui sotto da solo?”
    “Ho i miei libri. E le mie illustrazioni. Non sono solo. E comunque, qui sono al sicuro dal sole.”
    Il tono di Claire si inasprì quando le venne in mente che la dolce e piccola signorina Leeds l’aveva drogata e gettata in quella cella con lui.
    “Ogni quanto ti porta delle donne?”
    “Una volta all’anno.”
    “Cos’è, una specie di regalo di compleanno?”
    “È il tempo massimo che riesco a resistere senza che la fame diventi troppo forte. Se aspetto, divento… difficile da gestire.” La sua voce era flebile all’inverosimile. Provava vergogna.
    Claire riusciva a sentire una rabbia violenta montarle dentro e il rossore salirle sulla pelle della gola. Cavolo, la signorina Leeds non stava cercando di combinare un matrimonio per bontà d’animo quando le aveva parlato di suo figlio. La donna aveva considerato Claire come cibo e suo figlio come un animale.
    “Quando è l’ultima volta che hai visto tua madre?”
    “Il giorno in cui mi ha portato qui sotto.”
    Dio, avere dodici anni ed essere imprigionato e abbandonato…
    “Mangerai adesso?” le chiese. “Come puoi vedere sto bene.”
    Lo stomaco di Claire brontolò. “Da quanto sono qui?”
    “Solo per cena. Quindi non a lungo. Ci saranno due colazioni, un pranzo e un’altra cena e poi sarai libera.”
    Claire diede un’occhiata in giro e vide che non c’erano orologi. Quindi l’uomo si era adattato a calcolare il tempo attraverso i pasti. Gesù… Cristo.
    “Mi farai vedere i tuoi occhi?” gli chiese, facendo un passo verso di lui. “Per favore.”
    Lui si alzò, una forza imponente avvolta nella seta rossa. “Ti lascio mangiare.”
    Le passò accanto, la testa piegata e la catena che veniva trascinata sul pavimento. Quando arrivò alla scrivania, girò la poltrona così da darle le spalle e si sedette. Prese una matita e la mano rimase sospesa su un foglio di spessa carta bianca. Un momento dopo la grafite iniziò ad accarezzare la pagina. Il suono che faceva era dolce come il respiro di un bambino.
    Claire lo fissò e prese una decisione. Poi volse lo sguardo verso il cibo. Doveva mangiare. Se era decisa a far uscire entrambi da lì, aveva bisogno di essere in forze.


    3

    Claire mangiò tutto quello che c’era sul vassoio e, considerando la situazione, stranamente il silenzio nella stanza non le sembrò forzato.
    Dopo aver posato il tovagliolo, tirò su le gambe sul letto e si appoggiò ai cuscini, stanca ma non come quando era stata drogata. Posò lo sguardo sul vassoio e le venne in mente un pensiero assurdo: non riusciva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva davvero finito un pasto. Era sempre a dieta, sempre un po’ affamata. L’aiutava a tenere alto il livello di aggressività, la rendeva più attenta, concentrata.
    Adesso, si sentiva un po’ confusa. E… stava sbadigliando?
    “Non mi ricorderò niente di tutto questo?” chiese alla schiena dell’uomo.
    Lui scosse la testa, la criniera dei suoi capelli ondeggiò fino a sfiorare il pavimento. La combinazione di rosso e nero era stupefacente.
    “Perché no?”
    “Prenderò i tuoi ricordi prima che tu te ne vada.”
    “Come?”
    Alzò le spalle. “Non so. Semplicemente… li trovo tra i pensieri e li seppellisco.”
    Claire si tirò la trapunta sulle gambe. Aveva la sensazione che se avesse spinto per avere maggiori dettagli, lui non glieli avrebbe dati, come se neanche lui capisse tanto bene se stesso o la sua natura. Interessante. La signorina Leeds era umana per quanto Claire potesse dire. Quindi era chiaro che il padre era stato…
    Merda, stava davvero prendendo tutta quella faccenda sul serio?
    Claire si portò una mano sul collo e sentì il segno del morso ormai quasi scomparso. Sì… sì, lo stava facendo. E anche se al suo cervello vennero i crampi alla sola idea che i vampiri esistessero, aveva una prova irrefutabile, giusto?
    Le venne in mente Fletcher. Anche lui era qualcosa di diverso. Claire non sapeva cosa ma quella sua strana forza insieme all’età apparente… Non era normale.
    Il silenzio si protrasse, i minuti scorrevano fluidi attraverso la stanza e scivolavano nell’infinito. Era passata un’ora? O mezza? O tre?
    Stranamente, Claire trovava piacevole il suono della matita che passava leggera sulla carta.
    “A cosa stai lavorando?” gli chiese.
    Lui si fermò. “Perché vuoi vedere i miei occhi?”
    “Perché non dovrei? Completerebbero la tua immagine.”
    Lui posò la matita. Sollevò una mano per tirarsi indietro i capelli, tremava. “Ho bisogno di… venire da te, adesso.”
    Le candele cominciarono a spegnersi una a una.
    La paura fece battere il cuore di Claire come le ali di un pipistrello che schizza fuori da una caverna. Paura e… oh, Dio, per favore fa che quella scarica non sia almeno in parte anticipazione.
    “Aspetta!” Claire si mise seduta. “Come fai a sapere che non… prenderai troppo?”
    “Riesco a percepire la tua pressione sanguigna e sto molto attento. No riuscirei a sopportare di farti del male.” Lui si alzò dalla scrivania. Altre candele si spensero.
    “Per favore, non l’oscurità completa,” disse Claire quando rimaneva solo più la candela sul comodino. “Non posso sopportarlo.”
    “Così sarà più facile…”
    “No! Dio, no… non lo sarà per niente. Non sai cosa vuol dire dal mio punto di vista. L’oscurità mi terrorizza.”
    “Allora lo faremo con la luce.”
    Si avvicinò al letto e Claire sentì prima di tutto le catene; poi l’ombra dell’uomo emerse dal buio.
    “Forse vorrai stare in piedi?” disse. “Così potrò farlo di nuovo stando dietro di te? In quel modo non sarai costretta a guardarmi. Ci vorrà un po’ più di tempo questa volta.”
    Claire espirò, il suo corpo si stava scaldando, il sangue le scorreva caldo nelle vene. Avrebbe voluto scoprire i perché di quella sua pericolosa mancanza di istinto di auto conservazione ma che importanza aveva? “Credo… credo di volerti guardare.”
    Lui esitò. “Sei certa? Perché una volta che avrò iniziato, sarà difficoltoso fermarsi a metà…”
    Dio, sembravano una coppia di premurosi amanti dell’era vittoriana che parlavano di sesso.
    “Ho bisogno di guardare.”
    Lui fece un respiro profondo, come se fosse nervoso e si stesse preparando ad affrontare l’ansia.
    “Allora forse vorresti sederti sul bordo del letto? In quel modo potrei inginocchiarmi davanti a te.”
    Claire si spostò così da far penzolare le gambe giù dal materasso. Lui si abbassò un po’, piegò le ginocchia poi scosse la testa.
    “No,” mormorò. “Dovrò sedermi accanto a te.”
    Si sedette dando le spalle alla candela, così il viso rimase in ombra. “Posso chiederti di voltarti verso di me?”
    Claire cambiò posizione e alzò lo sguardo. La luce della fiamma gli formava un’aureola intorno alla testa e lei desiderò di riuscire a vederlo in viso. Ne anelava la bellezza.
    “Michael,” sussurrò. “Avresti dovuto chiamarti Michael. Come l’arcangelo.”
    Lui alzò una mano e le tirò indietro i capelli. Poi appoggiò la mano sul materasso e si sporse verso di lei.
    “Mi piace quel nome,” disse piano.
    Claire sentì prima le sue labbra sul collo, una lieve carezza di pelle contro pelle. Poi la bocca si scostò e lei sapeva che si stava aprendo a rivelare le zanne. Il morso avvenne d’improvviso, deciso, e lei fece un balzo, molto più consapevole questa volta. Il dolore fu maggiore ma anche la dolcezza che ne seguì.
    Claire emise un gemito mentre il calore le attraversava il corpo e la spinta del risucchio cominciò, la bocca aveva trovato un ritmo. Claire non era certa di quando lo toccò. Successe e basta. I palmi delle sue mani gli risalirono fin sulle spalle.
    Questa volta fu lui a scostarsi e nel tirarsi indietro la luce illuminò parte del suo viso. Respirava affannosamente, le labbra scostate, la punta delle zanne appena visibile. Era affamato ma sotto shock.
    Claire gli fece scorrere le mani lungo le braccia. I muscoli erano possenti e ben definiti.
    “Non posso fermarmi,” disse lui con voce distorta.
    “Voglio solo… toccarti.”
    “Non posso fermarmi.”
    “Lo so. E io voglio toccarti.”
    “Perché?”
    “Voglio sentire come sei.” Claire non riusciva a crederci ma inclinò la testa da un lato ed espose la gola.
    “Prendi ciò di cui hai bisogno. E io farò lo stesso.”
    Questa volta si lanciò su di lei, le premette una mano sull’altro lato del collo e la morse con forza. Il corpo di Claire si sollevò, i seni vennero in contatto con la solida parete del suo petto e il suo odore invase la stanza. Claire si aggrappò ai suoi forti bicipiti e cadde all’indietro sui cuscini. Lui le andò dietro.
    Il corpo di Michael adesso era premuto su di lei, il suo peso la schiacciava sul materasso. Bloccava la luce della candela e Claire non riusciva a vedere niente con chiarezza, però l’alone di luce dietro di lui la tratteneva contro l’infinito. In qualche modo andava bene, anche se per un motivo pericoloso: l’oscurità rendeva la sensazione di lui attaccato al suo collo ancora più vivida, dall’umida coppa della sua bocca calda al risucchio strattonato del suo deglutire, alla corrente sessuale tra di loro.
    Le piaceva quello che lui le stava facendo. Che Dio mi aiuti.
    Claire riuscì a trovare i suoi capelli. Con un gemito di soddisfazione, intrecciò le dita in quella massa serica, ne strinse intere ciocche e arrivò fino allo scalpo.
    Lui si fermò di colpo, anche lei rimase immobile e sentì il tremito che gli attraversava il corpo. Aspettò per vedere se avrebbe continuato e lui lo fece. Quando ricominciò a bere, la stanza iniziò a girare ma a Claire non importava. Aveva lui a cui aggrapparsi.
    Almeno fino a quando non si tirò indietro d’improvviso e l’abbandonò sul letto. Si ritirò nell’angolo in ombra, le catene l’unica testimonianza dei suoi movimenti, e praticamente scomparve.
    Claire si tirò su a sedere. Quando sentì qualcosa di bagnato tra i seni, abbassò lo sguardo. C’era del sangue che le scorreva sul petto e veniva assorbito dalla vestaglia bianca. Urlò una parolaccia e si precipitò a coprire i fori del morso che lui le aveva fatto.
    All’istante, Michael fu di fronte a lei e le scostò le mani. “Mi dispiace. Non ho finito come si deve. Aspetta, no, non lottare contro di me. Ho bisogno di finire. Lascia che finisca così posso fermare il sangue.”
    Le prese le mani in una delle sue, le scostò i capelli e le appoggiò la bocca sul collo. Tirò fuori la lingua e gliela passò sulla pelle. E poi la leccò ancora. E ancora.
    Non ci volle molto perché Claire dimenticasse tutto sull’essersi quasi dissanguata a morte.
    Michael le lasciò andare le mani e la cullò tra le sue braccia. Claire lasciò cader la testa all’indietro con abbandono e lui continuò a leccarla e a strofinarsi su di lei.
    Rallentò. Poi si fermò. “Adesso dovresti dormire,” le sussurrò.
    “Non sono stanca.” Il che era una bugia.
    Claire sentì di venir appoggiata sui cuscini, la tenda formata dai capelli di Michael cadde in avanti mentre la metteva comoda.
    Quando stava per tirarsi indietro, lei gli prese le mani. “I tuoi occhi. Fammi vedere i tuoi occhi. Se farai quello che mi hai appena fatto per i prossimi due giorni, me lo devi.”
    Dopo un lungo momento, lui si scostò i capelli e sollevò le palpebre lentamente. Le iridi erano di un blu intenso, luminose come un neon; infatti, brillavano. E intorno al bordo esterno c’era una linea nera. Le ciglia erano lunghe e folte.
    Il suo sguardo era ipnotico. Fuori dal mondo. Straordinario… proprio come il resto di lui.
    Abbassò la testa. “Dormi. Probabilmente tornerò da te prima di colazione.”
    “E tu? Dormi?”
    “Sì.” Quando Claire guardò l’altro lato del letto, lui mormorò, “Ma non qui, stasera. Non avere timore.”
    “Allora dove?”
    “Non avere timore.”
    Andò via all’improvviso e sparì nell’oscurità. Lasciata sola nella luce creata dalla candela, Claire si sentì come se stesse fluttuando su quel grande letto, persa in quello che era al contempo un sogno voluttuoso e un orribile incubo.

    4

    Claire si svegliò quando sentì l’acqua scorrere nella doccia. Si tirò su dai cuscini, mise i piedi sul pavimento e decise di darsi all’esplorazione mentre Michael era occupato. Prese la candela e si diresse verso la scrivania. O almeno nella direzione in cui credeva che fosse quella cosa maledetta.
    Fu il suo stinco a trovarla per primo, sbattendo contro una delle solide gambe del tavolo. Claire lanciò una maledizione e si piegò a massaggiare quello che senza dubbio sarebbe diventato un livido di tutto rispetto. Dannate candele. Si spostò con più cautela e cercò a tentoni la poltrona su cui si era seduto Michael, poi abbassò la luce praticamente inutile per guardare su cosa avesse lavorato.
    “Oh, mio Dio,” sussurrò.
    Era un ritratto di lei. Un ritratto, incredibilmente accurato e ad essere onesti sensuale, di lei che guardava dritto fuori dalla pagina. Solo che lui non la guardava mai. Come sapeva… “Allontanati, per favore,” disse Michael dal bagno.
    “È bellissimo.” Claire si sporse sulla scrivania e vide una marea di altri disegni, i più vari, ma sembravano tutti avere uno stile molo moderno nell’esecuzione. Cosa che la sorprese. “Sono tutti bellissimi.”
    C’erano foreste e fiori che erano distorti. Vedute della casa e dei giardini dei Leeds che erano surreali. Rappresentazioni di stanze dentro la grande casa che erano tutte un po’ fuori dagli schemi ma visivamente ancora di grande effetto. Che lui fosse un pittore d’avanguardia era uno shock, visto il modo in cui parlava e i suoi modi d’altri tempi…
    Con un brivido, Claire riguardò il disegno che aveva fatto di lei. Era un ritratto classico. Dotato di realismo classico. Il resto del suo lavoro non era uno stile. Le rappresentazioni erano sbilenche perché non vedeva ciò che disegnava da oltre cinquanta anni. Era tutto un ricordo che non veniva rinfrescato da decenni.
    Claire prese il ritratto. Era eseguito in maniera impeccabile, ogni dettaglio reso con cura. Un tributo.
    “Vorrei che non guardassi niente di tutto ciò,” le disse Michael a un soffio dall’orecchio.
    Claire rimase senza fiato e si girò di scatto. Mentre i battiti del cuore tornavano normali, pensò che aveva davvero un buon odore, accidenti. “Perché non vuoi che li veda?”
    “È personale.”
    Ci fu una pausa e a Claire venne un pensiero. “Hai ritratto le altre donne?”
    “Dovresti tornare a letto.”
    “Lo hai fatto?”
    “No.”
    Era un sollievo. Per ragioni che Claire non apprezzava. “Perché no?”
    “Non erano… piacevoli alla vista.”
    Senza pensarci gli chiese, “Sei stato con qualcuna di loro? Hai fatto sesso con loro?”
    Lui lasciò scorrere l’acqua nella doccia e il rumore dell’acqua riempì il silenzio.
    “Dimmelo.”
    “No.”
    “Hai detto che non avresti fatto sesso con me. È perché non sei… in grado di farlo con gli umani?”
    “È una questione d’onore.”
    “Quindi i vampiri… fanno sesso? Voglio dire, tu puoi, giusto?” Okay, perché stava facendo quel discorso? Chiudi il becco, Claire…
    “Sono in grado di eccitarmi. E posso… portare me stesso alla conclusione.”
    Claire dovette chiudere gli occhi mentre se lo immaginava sul letto, gloriosamente nudo, i capelli lasciati sciolti. Se lo vide mentre si stringeva con una di quelle sue mani affusolate, massaggiava il suo pene con movimenti dall’alto in basso fino a che la schiena non si arcuava sopra al materasso e…
    Claire lo sentì prendere un profondo respiro e dire, “Perché questa cosa è così seducente per te?”
    Gesù, aveva dei sensi proprio affinati. E come poteva essere diversamente?
    Però non era come se gli servisse sapere tutto ciò che la eccitava. “Sei mai stato con una donna?”
    Abbassò la testa e la scosse. “La maggior parte erano terrorizzate e giustamente. Mi rifuggivano. Specie quando mi… nutrivo.”
    Claire cercò di immaginare come ci si doveva sentire ad avere contatti solo con persone che ti credono orribile. Non c’era da stupirsi se era così riservato e pieno di vergogna.
    “Quelle che non mi trovavano… ripugnante,” continuò, “quelle che si abituavano alla mia presenza, che non mi avrebbero respinto… ho scoperto che ero io a mancare di voglia. Non le trovavo piacevoli.”
    “Non hai mai baciato nessuno?”
    “No. Adesso rispondi alla domanda che ti ho posto. Perché l’idea di me che… allevio il mio bisogno ti eccita?”
    “Perché mi piacerebbe…” Guardare. “Credo che tu debba essere magnifico quando lo fai. Credo che tu… sia magnifico.”
    Lui rimase senza fiato.
    Per lungo tempo l’unico rumore fu quello della doccia e poi Claire disse, “Mi spiace se ti ho sconvolto.”
    “Mi trovi piacevole alla vista?”
    “Sì.”
    “Sul serio?” sussurrò.
    “Sì.”
    “Sono stato benedetto.” Le catene rotolarono sul pavimento quando lui si voltò e tornò in bagno.
    “Michael?”
    Gli anelli di metallo continuarono a muoversi.
    Claire andò verso il letto e si sedette sul bordo con in mano la candela mentre lui finiva con calma. Quando l’acqua venne chiusa e lui alla fine uscì dal bagno, Claire disse, “Vorrei farmi una doccia anch’io.”
    “Serviti pure,” disse e con la forza di volontà fece tornare a scorrere l’acqua. “Ti garantisco che avrai privacy.”
    Claire entrò nel bagno e posò la candela sulla mensola. L’aria era calda e umida per la doccia e profumava di sapone e fragranti spezie. Si tolse la vestaglia e la biancheria, entrò nella doccia e lasciò che l’acqua le scivolasse sul corpo, le inzuppasse i capelli e le ripulisse la pelle.
    Era sconvolta dalla mancanza di compassione di cui Michael era stato oggetto durante gli ultimi cinquanta anni. Dalla crudeltà con cui erano stati trattati i suoi unici compagni, che erano stati trascinati via e i cui diritti erano stati violati perché lui potesse sopravvivere. Dalla sua prigionia che continuava e sarebbe andata avanti a meno che non fosse stato liberato. Dal fatto che non sapeva nemmeno di essere bello.
    Odiava che Michael avesse vissuto da solo per tutta la vita.
    Uscì dalla doccia, si asciugò, indossò di nuovo la vestaglia e si mise gli slip e il reggiseno in tasca.
    Una volta in camera da letto, disse, “Michael, dove sei?”
    Si inoltrò nella stanza. “Michael?”
    “Sono alla scrivania.”
    “Potresti fare un po’ di luce?” Le candele si accesero all’istante.
    “Grazie.” Rimase a fissarlo mentre lui cercava di nascondere ciò che stava disegnando. “Ti porterò con me,” gli disse.
    Lui sollevò la testa e per una volta anche gli occhi. Dio, il modo in cui brillavano era straordinario. “Scusami?”
    “Quando Fletcher torna a prendermi, farò in modo che ti riesca a uscire.” Probabilmente colpendo il maggiordomo in testa con il portacandele che aveva in mano. “Mi occuperò io di lui.”
    “No!” Michael saltò in piedi. “Non devi interferire. Devi andare via così come sei arrivata, senza violenza.”
    “Col cazzo che lo farò. Questo non è giusto. Tutto quanto. Non è giusto per le donne ed è colpa di tua madre. E di Fletcher, anche.”
    E lei sperava di poter essere la persona che avrebbe rimesso tutto a posto. Quella donna e quello scagnozzo del suo maggiordomo dovevano finire dietro le sbarre: a Claire non importava quanto fossero vecchi. Sfortunatamente, farli arrestare dalla polizia per aver tenuto un vampiro incatenato in cantina non era proprio l’accusa migliore da sporgere contro uno dei cittadini più illustri di Caldwell.
    Quella sarebbe stata una causa davvero dura da vincere. Quindi la cosa migliore da fare era liberarlo.
    “Non posso permettere che tu ponga resistenza,” le disse.
    “Non vuoi uscire di qui?”
    “Ti faranno del male.” Aveva lo sguardo serio. “Preferirei rimanere imprigionato qui fino alla fine dei miei giorni piuttosto che vedere che ti viene arrecato danno.”
    Claire ripensò alla forza sorprendente che Fletcher aveva mostrato di avere nonostante l’età. E al fatto che lui e la signorina Leeds rapivano donne da cinquanta anni e se l’erano sempre cavata. Se Claire fosse scomparsa perché uccisa da quei due, sarebbe stato difficile da spiegare ma i corpi si possono far sparire. Certo, la sua assistente sapeva dov’era andata ma la signorina Leeds e Fletcher erano senza dubbio abbastanza furbi da far finta di non saperne nulla. In più avevano le chiavi della sua auto e il testamento firmato. Potevano sbarazzarsi dell’auto e dire che Claire era arrivata e se ne era andata e qualsiasi cosa le fosse successo dopo non aveva niente a che fare con loro.
    Cavolo… Claire era sorpresa che avessero scelto proprio lei, non fosse altro che per la sua personalità autoritaria. C’era da dire però che si era comportata da vera signora con la signorina Leeds. E in fondo era una candidata accettabile: una donna single che viaggia da sola durante l’ultimo movimentato fine settimana dell’estate.
    Era chiaro che avevano un modus operandi e che aveva funzionato per oltre cinque decenni. E si sarebbero tutelati. Con la forza, se le paure di Michael erano fondate.
    Avrebbe avuto bisogno d’aiuto per farlo uscire da lì. Forse avrebbe potuto chiedergli…no, probabilmente lui non era il genere di spalla di cui aveva bisogno, considerando il lavaggio mentale che aveva subìto. Dannazione… sarebbe stata costretta a ritornare per lui e sapeva anche chi portarsi. Aveva amici nelle forze dell’ordine, tipi che avrebbero volentieri lasciato il distintivo nel cassetto ma tenuto la pistola al fianco. Tipi che potevano occuparsi di una brutta storia. Tipi che potevano anche occuparsi di Fletcher mentre lei si occupava di Michael.
    Sarebbe tornata per lui.
    “No,” disse Michael. “Non ricorderai nulla. Non puoi tornare.”
    Una nuova ondata di collera la investì. Non era tanto l’idea che lui potesse chiaramente leggerle nel pensiero a farla incavolare, quanto che le impedisse di aiutarlo, anche se era ovvio che lo faceva per proteggerla. “Col cazzo che non ricorderò.”
    “Prenderò i tuoi ricordi…”
    “No, non lo farai.” Si mise le mani sui fianchi. “Perché mi giurerai sul tuo onore, qui e adesso, che non lo farai.”
    Sapeva di averlo in pugno perché era sicura che non le avrebbe negato nulla. E aveva completa fiducia nel fatto che se le avesse promesso di non portarle via i ricordi, allora non l’avrebbe fatto.
    “Giuralo.” Lui rimase in silenzio e lei si scostò i capelli umidi dal viso. “Questa cosa deve finire. Non è giusto a così tanti livelli e questa volta tua madre ha scelto la tipa sbagliata da gettare qui sotto con te. Uscirai e sarò io a liberarti.”
    Il sorriso che le fece era malinconico, appena un movimento della bocca. “Sei una combattiva.”
    “Sì. Sempre. E qualche volta sono un intero esercito. Adesso dammi la tua parola.”
    Lui si guardò intorno con un espressione di struggimento, lo sguardo era intento come se cercasse di vedere al di là del muro di pietra verso la terra e il cielo che erano così lontani. “Non respiro aria fresca da… lungo tempo.”
    “Lascia che ti aiuti. Dammi la tua parola.”
    Spostò lo sguardo su di lei. Era uno sguardo così gentile, intelligente e appassionato. Il genere di sguardo che si vorrebbe in un amante.
    Claire si impose di fermarsi perché fare il buon samaritano per lui non includeva andarci a letto. Anche se… che notte sarebbe stata. Quel suo grande corpo era senza dubbio in grado di…
    Basta.
    “Michael? La tua parola. Adesso.”
    Lui chinò la testa. “Prometto.”
    “Cosa. Cosa prometti.” L’avvocato che era in lei aveva bisogno di definire i dettagli.
    “Che ti lascerò intatta.”
    “Non è abbastanza. Intatta potrebbe voler dire sia fisicamente che mentalmente. Ripeti, ‘Claire, non ti prenderò i ricordi che hai di me o di questa esperienza.’”
    “Claire…che nome adorabile.”
    “Non tergiversare. E guardami in faccia quando lo dici.”
    Dopo un momento, alzò gli occhi verso di lei e, senza battere ciglio o distogliere lo sguardo, disse, “Claire, non ti prenderò i ricordi che hai di me o di ciò che traspare da te.”
    “Bene.” Claire andò verso il letto e si sdraiò sulla trapunta di velluto. Si sistemò i risvolti della vestaglia e lui si sedette alla scrivania.
    “Sembri esausto,” gli disse, senza che lui si girasse. “Perché non vieni a sdraiarti? Il letto è più che grande abbastanza per entrambi.”
    Lui appoggiò le braccia sulle cosce. “Sarebbe inappropriato.”
    “Perché?”
    La luce delle candele si affievolì. “Dormi. Verrò da te più tardi.”
    “Michael? Michael?”
    Un’ondata di stanchezza la travolse d’improvviso. Mentre sprofondava nel sonno, le passò per la mente il pensiero fugace che fosse stato lui a causarla.
    Claire si svegliò nell’oscurità completa e con la sensazione che lui incombesse sopra di lei. Era nel letto come se lui l’avesse messa sotto le lenzuola.
    “Michael?” Quando non disse nulla, gli chiese, “È ora di…?”
    “Non ancora.”
    Non disse altro e non si era ancora mosso, così lei sussurrò, “Che c’è?”
    “Dicevi sul serio?”
    “Di farti uscire?”
    “No. Quando mi hai chiesto se volevo… sdraiarmi accanto a te?”
    “Sì.”
    Lo sentì fare un respiro profondo. “Allora potrei… unirmi a te?”
    “Sì.”
    Claire scostò le lenzuola per fargli spazio e il materasso si abbassò sotto il suo notevole peso. Ma invece di infilarsi sotto le lenzuola, si stese sopra la trapunta.
    “Non hai freddo?” gli chiese. “Vieni sotto.”
    L’esitazione non la sorprese. Ma il fatto che sollevasse le coperte sì. “Terrò la vestaglia.”
    Il letto si mosse mentre lui si spostava, il suono delle catene le fece venire i brividi e le ricordò che erano entrambi intrappolati. Ma poi percepì il profumo di spezie e riuscì solo a pensare che voleva abbracciarlo. Si spostò leggermente e gli sfiorò un braccio. Lui sussultò ma poi si rimise tranquillo e lei si rese conto che aveva deciso di stare con lui.
    “Hai avuto molti amanti?” le chiese.
    Quindi anche lui sapeva quello che le passava per la mente, quello che desiderava. E aveva la sensazione che si fosse avvicinato perché era quello che voleva anche lui. Comunque, Claire non era certa di come riuscire a rispondere a quella domanda senza farlo sentire insicuro.
    “Li hai avuti?” insistette.
    “Qualcuno. Non molti.” Vincere al tavolo delle negoziazioni, per lei, era stato sempre più interessante del sesso.
    “La tua prima volta, come è stata? Eri spaventata?”
    “No.”
    “Oh.”
    “Volevo togliermi il pensiero. Avevo ventitré anni. Ho iniziato tardi.”
    “A quella età è tardi?” mormorò. “Quanti anni hai adesso?”
    “Trentadue.”
    “Quanti?” Adesso c’era un tono di richiesta, tutto maschile, nella sua voce, una certa durezza. E a Claire piaceva il contrasto con il suo carattere essenzialmente gentile.
    “Solo tre.”
    “Ti hanno… dato piacere?”
    “Qualche volta.”
    “Quando è stata l’ultima volta?” Le parole furono pronunciate con rapidità e a bassa voce.
    Era geloso e non avrebbe dovuto farle piacere, ma era così. Voleva che si sentisse possessivo, perché voleva averlo.
    “Un anno fa.” Lui lasciò andare un sospiro come se fosse sollevato, e nel silenzio che seguì, Claire divenne curiosa. “E quand’è l’ultima volta che tu… hai alleviato te stesso?”
    Lui si schiarì la gola e Claire era certa che stesse arrossendo. “Nella doccia.”
    “Appena un momento fa?” gli chiese sorpresa.
    “È stato ore fa. O almeno sembra così.” Tossì leggermente. “Dopo essere venuto da te, beh, mentre ero con te, io ne ho provato il… bisogno. Per resistere, ho dovuto allontanarmi ed è per quello che non ho terminato come si conviene. Avevo paura che ti avrei… toccata.”
    “E se io l’avessi voluto?”
    “Non farò sesso con te.”
    Claire si sollevò sui gomiti. “Accendi una candela. Ho bisogno di vedere il tuo viso mentre parliamo di questo.”
    Le candele a entrambi i lati del letto si accesero.
    Lui era steso sulla schiena, gli occhi chiusi, il capelli rosso e nero una distesa di onde sopra i cuscini bianchi.
    “Perché non mi vuoi guardare?” gli chiese. “Dannazione, Michael. Guardami.”
    “Ti guardo in continuazione. Quando le luci sono spente, ti guardo. Ti contemplo.”
    “Allora guardami negli occhi adesso.”
    “Non posso.”
    “Perché?”
    “Fa male.”
    Claire gli accarezzò un braccio. I muscoli erano tesi, i bicipiti possenti e ben definiti, i tricipiti scolpiti.
    “Non dovrebbe essere doloroso guardare una persona,” gli disse.
    “Per me è troppo intimo.”
    Claire rimase in silenzio per un momento. “Michael, sto per baciarti. Adesso.” Quando si rese conto che c’era un tono di pretesa nella sua voce, rallentò un po’. Non voleva forzarlo. “Ecco, se per te va bene? Puoi certamente dire di no.”
    Sentiva il corpo di Michael tremare, gli spasmi impercettibile si trasmettevano lungo il materasso. “Voglio che tu lo faccia. Talmente tanto che mi sembra di soffocare dal desiderio. Ma questo lo sai, non è vero? Sai che è questo il motivo per cui sono venuto da te.”
    “Sì, lo so.”
    Lui rise un momento. “Ecco perché ho così tanto bisogno di te. Tu vedi tutto di me e non hai timore. E sei l’unica che abbia mai pensato di farmi uscire.”
    Claire si spostò verso di lui e lui la seguì con quei suoi roventi occhi blu.
    “Solleva la testa,” gli disse. Quando lo fece, lei allungò una mano e sciolse il laccio di cuoio che gli teneva legati i capelli. Così completamente liberi, Claire poté meravigliarsi per quella visione gloriosa di consistenza e colori. Poi lo guardò negli occhi e si abbassò con cautela verso la sua bocca.
    Lui aprì gli occhi e il suo sguardo era esplosivo.
    Lei si fermò.
    “Perché hai paura?” gli chiese, accarezzandogli l’attaccatura a V dei capelli.
    Lui scosse la testa con impazienza. “Baciami e basta.”
    “Dimmi il perché.”
    “E se non dovessi piacerti?”
    “Mi piacerai. Mi piaci già.” Per rassicurarlo, Claire abbassò il viso e gli sfiorò le labbra con le sue, poi le mosse appena. Dio, era fatto di velluto. E calore. E impaziente ardore.
    Specie quando gemeva. Era un suono tutto maschio, di sesso e il corpo di Claire rispose rilassando i muscoli all’interno delle cosce.
    Per fargli aprire la bocca, lo leccò e si perse nella sensazione di soffice su soffice, respiro su respiro. Quando dischiuse le labbra, si spinse dentro, incontrò lo smalto duro dei denti davanti e poi si immerse. Gli accarezzò la lingua e gli sentì il torace alzarsi d’improvviso. Preoccupata di essersi spinta troppo oltre, troppo in fretta, si tirò indietro. “Vuoi fermarti…”
    Il ringhio venne fuori dal nulla. E lui si mosse così veloce che Claire non riuscì a stargli dietro.
    La stanza girò quando lui la stese sulla schiena e poi si mise a cavalcioni su di lei, un’enorme maschio animale che non la spaventava per niente. Si allungò su di lei, il peso del suo torace che la comprimeva, le gambe che le stringevano i fianchi. Si ritrovarono faccia a faccia, lui ansimava e i suoi occhi brillavano.
    “Mi serve di più,” disse col tono di chi pretende. “Fallo ancora. Più forte. Adesso.”
    Claire si riprese in fretta, sollevò la testa dal cuscino e fuse le loro labbra. Lui la spinse giù e aumentò il contatto. E imparò in fretta. Con un’agile penetrazione, la sua lingua si infilò nella bocca di Claire e lei ondeggiò sotto di lui.
    Con lui a cavalcioni, Claire non poteva non notare l’erezione. E la voleva, ne aveva bisogno.
    Districò la bocca e gli disse, “Mettiti tra le mie gambe. Stenditi tra le mie cosce.”
    Lui si sollevò, guardò i loro corpi; poi usò un ginocchio per aprirle le gambe e fuse i loro corpi in uno.
    “Oh, Dio,” gemette Claire senza fiato. Sentiva la sua eccitazione, calda e dura, attraverso la sottile barriera di seta che indossava. Ed era enorme.
    “Dimmi cosa fare,” le disse. “Dimmi…”
    Claire sollevò le ginocchia, inclinò il bacino e lo strinse a sé. “Strofinati su di me. I fianchi. Muovili.”
    Lui lo fece fino a che entrambi non si ritrovarono ad ansimare, a gemere, e lui nascose il viso nell’incavo del collo di Claire. La seta era un conduttore, uno stimolante, ma non una barriera. E forse a causa delle circostanze in cui si trovavano, perché quella assomigliava a una fantasia, Claire si lasciò andare, per una volta diede il permesso a se stessa di abbandonasi alle sensazioni. Non pensò a nulla se non ai contorni del corpo di Michael contro il suo e al modo in cui i suoi movimenti venivano assorbiti al centro della sua femminilità, al suo incredibile profumo e all’ardore del sesso.
    Quando lui si scostò, Claire era pronta per averlo dentro di se. Specie quando disse, “Voglio guardarti.”
    “Allora levami la vestaglia.”
    Lui si sollevò e le tolse il fiato. I capelli gli scendevano intorno in magnifiche onde che catturavano ed esaltavano la luce delle candele. Il suo viso era troppo bello per essere vero. E all’altezza dei fianchi, un’erezione orgogliosa e affamata tendeva la seta rossa.
    “Sei un sogno,” gli disse.
    Le mani gli tremavano quando prese la cintura che le stringeva la vita e lentamente la slegò. Prese i due lati della vestaglia, li aprì e le scoprì i seni.
    Rimase a guardarla e Claire si rese conto che Michael stava facendo uno strano suono, come un gatto che fa le fusa.
    “Sei…rifulgente,” le disse, gli occhi spalancati per la meraviglia e l’ammirazione. “Posso toccarti?”
    Claire annuì e lui allungò una mano dalle dita affusolate. Le sfiorò un seno e poi mosse le dita fino all’areola rosata. Nell’istante in cui le toccò il capezzolo, Claire inarcò la schiena e chiuse gli occhi. Il tocco di Michael era come una fiamma, non pesava nulla ma la bruciava.
    “Baciami,” gli disse e allungò una mano per prendergli una spalla e tirarlo verso il suo seno. Quando lui si diresse verso la sua bocca, lei lo fermò. “Sul mio seno questa volta. Baciami lì. Prendilo in bocca e passa la lingua sul capezzolo.”
    Michael si stese nuovamente sul corpo di Claire fino a trovarsi all’altezza dei capezzoli. Aveva un’espressione che era in parte lussuria animale, come se volesse divorarla, e in parte gratitudine, seducente e dolorosa.
    Si strofinò su di lei e poi la coprì con le labbra. Claire tremò, allacciò le gambe dietro la sua schiena e intanto lui succhiava lentamente e imparava a conoscere il suo corpo, con calma. Claire era impaziente, aveva bisogno di molto di più così gli infilò le mani tra i capelli e lo incalzò perché ci mettesse più ardore.
    Michael non ebbe bisogno di molto incoraggiamento.
    Sessualmente, era un dominatore per natura. Forse Claire era partita facendo lei da maestra ma lui aveva proseguito per conto proprio, prendendo le redini del sesso, portandoli entrambi sempre più in alto. La osservava mentre le succhiava un seno e il suo sguardo era bramoso, rovente, pieno di pura soddisfazione maschile nel vederla dimenarsi sotto di lui. E poi la baciò di nuovo, le afferrò i fianchi e strofinò la propria erezione contro di lei.
    Avevano raggiunto il punto di non ritorno per quanto concerneva Claire e stava per dirlo quando lui si ritrasse. Aveva la bocca aperta e le zanne erano ben visibili. Quello fu il momento in cui Claire esplose in un orgasmo. Il suo corpo venne scosso dalle convulsioni, le cosce si strinsero intorno a Michael per allineare i loro sessi in cerca di maggior contatto.
    Claire si rese vagamente conto che Michael aveva cambiato espressione e sembrava sotto shock. Il che aveva senso visto che lei non faceva che urlare cose senza senso e piantargli le unghie nella schiena. Quando si calmò, la vista le tornò a fuoco.
    “Stai bene?” le chiese.
    “Dio… sì,” disse Claire con voce esausta.
    “Sei certa? Cos’è successo?”
    “Mi hai provocato un orgasmo.” Lui aggrottò la fronte come se stesse cercando di capire se quella fosse o meno una buona cosa.
    “È stato favoloso.”
    “Puoi farlo di nuovo?”
    Dio, non vedeva l’ora. “Con te? Assolutamente.”
    Il sorriso di Michael era senza malizia, niente più che un movimento di quella sua strabiliante bocca, generoso e gentile. “Voglio che tu lo faccia di nuovo. Sei bellissima quando succede.”
    “Allora toccami in mezzo alle gambe,” gli sussurrò a fior di labbra. “E lo farò.”
    Michael si spostò continuando a riempirle i seni di baci come se detestasse l’idea di abbandonarli. Poi le sfiorò lo stomaco con una mano e le aprì completamente la vestaglia.
    Claire ebbe un attimo di esitazione. Non aveva idea di come Michael avrebbe reagito nel vederla nuda.
    Lui inclinò la testa da un lato mentre la seta le scivolava via dal corpo. “Hai dei peli qui.”
    “Tu no?”
    Lui scosse la testa. “Mi piacciono i tuoi,” mormorò mentre faceva scorrere le dita su e giù con delicatezza. “È così morbido.”
    “C’è qualcosa di ancora più morbido.”
    “Davvero?”
    Claire allargò le gambe e lo guidò nel punto in cui lo desiderava. Alla prima ondata di contatto, Claire si morse un labbro e fece un movimento rotatorio…
    Michael gemette. “Sei… bagnata.”
    “Sono pronta per te.”
    Lui sollevò la mano e si fissò le dita, poi le strofinò una contro l’altra. “Sembra seta.” Prima che Claire potesse dire un’altra parola, Michael si infilò le dita in bocca, chiuse gli occhi e succhiò.
    Cosa che portò Claire quasi sull’orlo di un altro orgasmo. “Michael…”
    E fu in quel momento che arrivò la colazione.
    Il suono di una grata di metallo che veniva chiusa rimbombò sulle pareti di pietra e l’aroma della pancetta si sparse per la stanza. Michael sembrava indeciso sul da farsi.
    “Più tardi…” gli disse.
    “Hai bisogno di mangiare.”
    “Più tardi.”
    “No, adesso. Io sono… affamato di te. Verrò quando avrai finito.” E con quelle parole si diresse verso il vassoio che era arrivato in quella specie di porta pane vicino alla porta. Portò il cibo accanto al letto e poi sparì nell’oscurità.
    Quando il suono delle catene cessò, Claire si rimise la vestaglia. Era difficile credere che potesse essere frustrata dopo l’orgasmo che le aveva appena dato. Ma lei voleva Michael dentro di sé.
    Claire sollevò il coperchio, guardò il cibo e raggelò. “Questo è un pranzo.” La pancetta era dentro a una quiche, c’era un bicchiere di vino e una crostata alla frutta.
    “Dormivi quando hanno portato la colazione e non ho voluto svegliarti solo per mangiare del cibo freddo.”
    Gesù, le rimaneva solo più un giorno e mezzo. In circostanze normali sarebbe stato un pensiero degno di festeggiamento, sempre che ne uscisse viva e riuscisse a tornare per Michael. Ma l’idea di doverlo abbandonare, anche se sarebbe tornata per liberarlo, la rendeva ansiosa come non mai.
    “Michael, ti farò uscire di qui.” Quando non ci fu risposta, Claire saltò giù dal letto con un’urgenza radicata nella paura per il futuro. “Mi hai sentita?”
    Cominciò a muoversi verso l’angolo avvolto nell’oscurità.
    “Fermati,” le intimò.
    “No.” Claire prese il porta candela che brillava sul comodino, lo tenne di fronte a sé e attraversò la stanza con passo deciso.
    “Non ti avvicinare…”
    La luce penetrò nell’angolo buio e Claire rimase senza fiato. Dal muro pendevano quattro catene, dotate di manette nella parte finale, due a circa un metro e mezzo dal fondo, due all’altezza del pavimento.
    “Che cos’è?” sibilò Claire. “Michael… cosa ti fanno?”
    “Qui è dove devo andare quando vengono a pulire le mie stanze. O quando i miei visitatori arrivano o se ne vanno. Devo incatenarmi e vengo liberato dopo che Fletcher mi ha fatto addormentare.”
    “Ti droga?” Non che non riuscisse credere che il maggiordomo non ne fosse capace. “Hai mai cercato di scappare?”
    “Basta. Adesso mangia.”
    “Al diavolo il cibo. Rispondimi.” La durezza nella voce le nasceva dalla disperazione che provava nel cuore. Non riusciva a sopportare l’idea che lui soffrisse. “Hai mai cercato di uscire?”
    “Tanto tempo fa. E solo una volta. Mai più.”
    “Perché?”
    Michael si allontanò da lei, la catena alla caviglia fremeva sul pavimento di pietra.
    “Perché Michael?”
    “Sono stato punito.”
    Oh, Dio. “Come?”
    “Hanno cercato di portarmi via qualcosa. Alla fine, ho prevalso io ma qualcuno si è fatto male. Quindi non protesterò mai più. Adesso, mangia. Devo venire da te presto.” Si mise seduto di fronte ai suoi disegni, prese una matita e si mise al lavoro. Per quanto fosse calmo, Claire sapeva che l’avrebbe tagliata fuori fino a che non avesse fatto quello che le aveva chiesto.
    Sarà anche stato timido e modesto ma era un avversario temibile. Quello era poco ma sicuro.
    L’unico motivo per cui Claire tornò sul letto e si mise a mangiare fu perché la mente si era messa a pianificare ed era un modo per passare il tempo. Pensava a come liberarlo, si preoccupava per ciò che gli era stato fatto e nel frattempo faceva rimbalzare lo sguardo dall’angolo in ombra al resto della stanza.
    “Accendi tutte le luci, per favore.”
    Lui lo fece subito e la luce inondò la camera. Claire tornò a guardare verso l’angolo buio dove le catene pendevano dal muro. Temeva che se la sarebbero presa con lui. Lo temeva davvero. Se andava via e loro in qualche modo venivano a sapere che sarebbe tornata…
    Non poteva lasciarlo lì. Era troppo pericoloso visto che già una volta avevano cercato di fargli del male. Si tornava al piano A. Lo avrebbe portato via con sé.
    Claire posò la forchetta sapendo quello che doveva fare. Michael avrebbe giocato un piccolo ruolo in quel piano; si sarebbe occupata lei di tutto il resto. Ma sarebbe venuto via con lei. Per nessun motivo avrebbe rischiato di lasciarlo lì.
    Claire si stava pulendo la bocca quando si rese conto che c’era un solo piatto.
    “Questa roba era per tutti e due?” gli chiese, provando un istantaneo orrore. Si era mangiata una buona metà della quiche.
    “No. Era solo per te.” Michael la guardò da oltre la spalla. “Per favore, non smettere. Voglio che tu sia sazia.”
    Claire ripartì all’attacco del cibo e le sembrò che Michael provasse un piacere spropositato nel vederla mangiare, quasi brillava dalla soddisfazione. Ed era strano, una gioia liberatoria nell’essere incoraggiata a quel modo. Accettata così. Per buona parte gli appuntamenti a Manhattan erano tutti basati sullo stare all’erta e mantenere il controllo: essere magra e alla moda mentre stai seduta di fronte a un professionista in giacca e cravatta. Portare avanti una conversazione sia che si parli delle commedie a Broadway o di quanto scritto sul Times o di chi conosce chi. Un modo sofisticato di cercare di superarsi uno con l’altra.
    Claire rimise il piatto sul vassoio: era piena. Soddisfatta. Rilassata a dispetto dell’orribile situazione. Il sonno la tirava come un bambino alla gamba del pantalone, desideroso di abbracciarla. Chiuse gli occhi e poco dopo tutte le candele si spensero tranne una e poi percepì movimento sul letto.
    “Ho bisogno di prendere da te,” le disse Michael all’orecchio.
    Claire gli offrì il collo senza riserve e lo incalzò perché si stendesse sopra di lei. Con un suono gutturale, Michael le affondò le zanne nella gola e si sistemò come lei gli aveva insegnato, tra le sua cosce, l’erezione che premeva al centro della sua femminilità. Claire si mosse sotto di lui, aprì la vestaglia e Michael accolse l’invito con avidità. Le passò le mani sulla pelle, spostandosi verso il basso con carezze calde e virili. Poi le fece scivolare le dita tra le gambe e continuò a nutrirsi attaccato al suo collo.
    Un orgasmo la fece esplodere, la combinazione del morso e del potere sessuale di Michael era troppo da sopportare. Fu magnifico.
    Quando finalmente si staccò dal collo, Michael la leccò per un po’ ma Claire voleva di più. E anche lui. Le catturò un seno con la bocca e lei lo spinse più in basso senza vergogna, verso la morbida pelle dello stomaco. Claire era in estasi, felice come non mai, beandosi dell’ardore che si era creato fra loro due. Lo sentì trattenere il respiro e fu certa che la stesse guardando nella sua parte più intima.
    “Sei delicata,” sussurrò. “E luccichi.”
    “A causa tua.”
    “Dove andrebbe… un uomo?”
    Claire non riusciva a credere che Michael non ne sapesse nulla, ma poi come avrebbe potuto? Tra i libri che leggeva certo non era incluso un manuale di anatomia degli organi sessuali femminili.
    Guidò un dito di Michael dentro di sé e inarcò la schiena mentre lui la penetrava. “Qui…” Il respiro di Claire si fece sempre più affannoso. “In profondità. Qui.”
    Michael emise un suono rauco e chiuse gli occhi come stravolto. In senso positivo. “Ma sei talmente piccola. Mi stringi così forte già adesso e io sono molto più… largo nella mia parte più virile.”
    “Credimi, ci entrerai.” Claire si mosse contro la mano di Michael, dando piacere a se stessa e si chiese quando era stata l’ultima volta che aveva portato allo scoperto la meretrice che c’era in lei.
    Mai.
    Michael guardò il corpo di Claire, il suo viso, dappertutto. Il senso di meraviglia e d’incanto che provava rendeva tutto nuovo anche per lei.
    “Mi trovo a voler…” Si schiarì la gola. “Temo di avere una… perversione.”
    “Cos’è?”
    “Voglio baciarti qui,” le disse, facendo scorrere il pollice intorno a lei. “Perché voglio mangiarti.”
    “Allora fallo.”
    Michael spalancò gli occhi. “Me lo lasceresti fare?”
    “Oh, sì.” Claire allargò le ginocchia e fece dondolare i fianchi. “E non è perverso.”
    Michael le accarezzò l’interno delle cosce, poi la tenne ferma e abbassò il viso per baciarla. Emise un gemito al primo contatto delle loro labbra, il suo corpo imponente fu scosso da un brivido e il letto amplificò il movimento così che l’anticipazione erotica di lui fece aumentare quella di lei. All’inizio si mosse con lentezza, imparando con attenzione. Spostò lo sguardo in alto oltre il monte di Venere, lo stomaco e il seno e si posò sul suo viso. La guardava per essere certo di fare le cose per bene. E accidenti se lo faceva.
    “Sì…” disse lei con voce roca. “Dio, sì. È fantastico.”
    Michael sollevò la testa e le sorrise; poi le passo le braccia sotto le gambe e la leccò con gentilezza, piano. All’inizio. Ma ben presto divenne più deciso, prese il comando della situazione fino a che il suono come di fusa che proveniva dalla sua gola non divenne selvaggio e riverberò nell’oscurità, un battito ritmico che rivaleggiava con quello del sangue nelle vene di Claire. Non c’era fine al piacere, a quella sua lingua che girava e scattava, a quelle sue labbra morbide, al suo respiro caldo o all’orgasmo.
    Quando finalmente Michael sollevò la testa, Claire si mise quasi a piangere. Allungò una mano e lo tirò su, pronta a ricambiare il favore. Solo che quando fece per aprirgli la vestaglia, lui le bloccò le mani.
    “No.”
    Claire riusciva a vedere l’erezione. La seta sottolineava ogni particolare. “Voglio…”
    “No.” La voce di Michael saettò per la stanza e lui si allontanò da lei, si allontanò da ciò di cui entrambi avevano bisogno.
    “Non dobbiamo… fare l’amore.” Quando lui non disse nulla, Claire mormorò, “Michael, arrivati a questo punto, ti deve fare male.”
    “Mi darò sollievo da solo.”
    “Lascia che sia io a farlo.”
    “No!” Scosse la testa con decisione. Poi si passò una mano sul viso. “Perdona il mio scatto d’ira.”
    Considerando quanto dovesse essere eccitato, era perfettamente logico. “Aiutami solo a capire il perché.”
    “Cercherai di passare sopra i miei motivi.”
    “Perché voglio stare con te. Voglio farti stare bene.”
    “Non è possibile,” disse e fece per alzarsi dal letto.
    “Non fare così,” scattò Claire. “Non mi tagliare fuori.”
    Michael si immobilizzò, Claire si mise seduta e gli strinse le braccia intorno. “Lo giuro, andrò piano. Ci fermeremo quando lo vorrai.”
    “Non vorrai… avere quello che ho.”
    “Non decidere per me. E se sei imbarazzato, spegni le luci.”
    Dopo un momento la stanza sprofondò nell’oscurità.
    Claire gli baciò una spalla e lo fece stendere sui cuscini. Lungo la strada, trovò la cintura della vestaglia e la slegò.
    Michael respirava affannosamente. Claire gli appoggiò le mani sul torace e gli accarezzò i pettorali e i capezzoli turgidi. Poi si spostò giù, verso lo stomaco, i muscoli definiti si contraevano sotto la pelle liscia e glabra…
    Venne in contatto con la testa dell’erezione ed entrambi rimasero senza fiato.
    Buon…Dio. A Claire non era passato neanche per la mente che potesse essere così lungo. Beh… era grosso dappertutto.
    Michael fece un salto e il respiro gli sibilò tra i denti quando Claire lo strinse tra le mani. Dio, era così grosso che non riusciva a chiuderci la mano intorno, ma sapeva come fargli provare piacere. Lo accarezzò con movimenti dall’alto in basso e lui gemette e spinse i fianchi verso l’alto istintivamente.
    “Sono…” Emise un suono incoerente. “Sono… così vicino. Già così vicino.”
    Claire mollò un po’ la presa, fece scorrere la mano verso la base e…
    Si immobilizzò. E lui smise di respirare.
    C’era qualcosa che non andava. Un’anormale linea in rilievo che proseguiva verso il basso…
    “Oh, Gesù… Michael.”
    Lui la spinse via.
    “Non c’è bisogno che finisci,” disse con voce rauca.
    Claire gli si gettò sopra per impedire che andasse via. “Hanno cercato di castrarti.”
    Grazie a Dio non c’erano riusciti. “Perché? Perché avrebbero fatto…”
    Il corpo di Michael era scosso dai brividi ma non era niente di sessuale questa volta. “Mamma pensò che… sarebbe servito a tenermi sotto controllo. Ma non potevo lasciarglielo fare. Ho fatto del male al dottore. Molto. Ed è in quel momento che sono arrivate le catene.” Michael spostò Claire con la forza e lei senti il rumore della vestaglia che tornava al suo posto. “Sono pericoloso.”
    La gola di Claire era talmente chiusa che faceva fatica a parlare. “Michael…”
    “Ma a te non farei mai del male.”
    “Lo so. Non ne dubito.”
    Rimase in silenzio per un po’. “Non voglio che tu veda come sono.”
    “Non mi importa della cicatrice. Mi importa solo di te. È questo ciò che conta.” Claire allungò una mano nell’oscurità. Quando gli sfiorò la spalla, lui sobbalzò. “Voglio continuare. Voglio la mia bocca su di te, proprio come tu volevi la tua su di me.”
    Ci fu un lungo silenzio.
    “Ho paura di te,” sussurrò.
    “Buon Dio, perché?”
    “Perché voglio che tu… faccia ciò cha hai detto. Voglio… te.”
    “Allora sdraiati di nuovo. Niente di quello che succede tra di noi potrà mai essere sbagliato. Torna da me.”
    Claire trovò le mani di Michael e le tirò fino a quando lui non si fu di nuovo steso sui cuscini. Poi gli aprì la vestaglia sotto la cintura e lo prese tra le mani. Era parzialmente eretto e si inturgidì contro il suo palmo, diventando all’istante duro come una roccia. Quando si abbassò su di lui, infilandosi la punta arrotondata tra le labbra socchiuse e poi riempiendosene la bocca, lui urlò il suo nome, spinse i calcagni sul materasso e irrigidì il corpo.
    Cercò di tirarsi indietro. “Finirò dentro…”
    “No, non lo farai. Finirai da un’altra parte.” Claire trovò un ritmo con la mano e con la bocca, sentì il corpo di Michael vibrare e sudare e…
    E quando fu sull’orlo del precipizio, lo lasciò andare e si spostò sul suo petto.
    “Fai l’amore con me, Michael. Finisci dentro di me.”
    “Sei così piccola…” disse con voce gutturale.
    Claire si mise a cavalcioni su di lui, pronta per la fusione dei loro corpi ma poi esitò quando lui s’immobilizzò. Dio, adesso sapeva cosa provavano gli uomini con un minimo di coscienza, l’inquietudine prima di far proprio qualcuno per la prima volta. Non voleva forzarlo. Era disperata nel proprio desiderio ma solo se era la cosa giusta da entrambe le parti.
    “Michael?” disse piano. “Stai bene?” Non stava bene per niente e il fatto che ci mettesse tanto per risponderle lo provava.
    “Se pensi che mi stia spingendo troppo oltre…”
    Con uno scatto, Michael la strinse tra le braccia. “E se ti faccio male?”
    “Questa è la tua unica preoccupazione?”
    “Sì.”
    “Non lo farai. Te lo prometto.” Claire gli massaggiò il torace. “Starò bene.”
    “Allora… per favore. Prendimi.”
    Grazie Signore… “Cambiamo posizione. Ti piacerà di più in questo modo.” Considerando la natura dominatrice di Michael, Claire sapeva che avrebbe preferito essere lui ad avere il controllo. “Se stai sopra, puoi spingere…”
    Accidenti, ma si muoveva in fretta. Claire si ritrovò stesa sulla schiena in una frazione di secondo. Ma anche lei si mosse velocemente, allungò una mano tra i loro corpi e lo posizionò contro di lei.
    “Spingi con i fianchi, Michael.” Lui lo fece e… “Oh, Cristo.”
    “Oh…” disse lui con un gemito.
    Claire si aggrappò a Michael e inarcò la schiena. Era enorme dentro di lei e per cercare di adattarsi Claire strinse le cosce intorno alla parte bassa del corpo di lui.
    “Ti provoco dolore?” grugnì.
    “Sei fantastico.” Claire lo incoraggiò verso un ritmo di impennate e ritirate, una lenta danza erotica che lei seguiva alla perfezione. Era incredibile, quel suo corpo così pesante su di lei, la pelle calda, i muscoli duri e flessibili. “Di più, Michael. Non mi rompo. Non mi farai male.”
    Lui ci diede dentro, iniziò a muoversi con maggior vigore e all’improvviso Claire percepì uno strano profumo nell’aria, qualcosa che proveniva dal corpo di Michael. Quel odore misterioso era la sua fragranza naturale solo che adesso era molto più intenso e con un sottostrato diverso, legato in modo intrinseco al sesso. I movimenti di Michael divennero frenetici, i suoi capelli erano aggrovigliati intorno a loro, le sue labbra cercarono quelle di Claire, le infilò la lingua in bocca e a lei venne un pensiero improvviso: che nella sua vita niente sarebbe mai più stato lo stesso. Tra loro stava passando qualcosa, uno scambio proposto e accettato, solo che Claire non sapeva esattamente ciò che stava ricevendo o ciò a cui stava rinunciando.
    Però sentiva che era la cosa giusta.
    E poi il suo corpo si perse, scaraventato oltre il precipizio, a capofitto in uno sciame di stelle. Sentì appena il ruggito di Michael e le sue convulsioni, una volta e poi ancora e ancora e ancora molte altre volte.
    Alla fine, lui giaceva sopra di lei con il fiato corto e Claire gli accarezzò le spalle madide di sudore. Sorrise, appagata. Contenta. “È stato…”
    Michael si alzò e saltò giù dal letto, le catene si muovevano veloci sul pavimento. Un momento dopo, si sentì il rumore dell’acqua nella doccia.
    Dopo essersi scossa da una buona dose di sorpresa paralizzante, Claire si avvolse nelle coperte e si coricò. Era chiaro che aveva interpretato male la meraviglia del loro stare insieme. Michael aveva fretta di ripulirsi dai residui di quel momento di passione.
    Poi sentì i singhiozzi. O qualcosa che sembrava tale.
    Claire si mise a sedere lentamente, cercò di passare oltre il rumore dell’acqua e di isolare il suono che aveva percepito. Non era certa di quello che aveva sentito quindi si infilò la vestaglia, scese dal letto e si diresse verso il bagno usando gli scaffali come guida. Arrivata alla porta, esitò con la mano appoggiata allo stipite consumato.
    “Michael?” chiamò piano.
    Lui lanciò un grido di sorpresa, poi le ordinò, “Torna a letto.”
    “Cos’è successo?”
    “Ti prego...” disse con voce rotta.
    “Michael, se non ti è piaciuto va bene…”
    “Va via.”
    Con cavolo che l’avrebbe fatto. Claire si mosse a tentoni, allungò le mani nell’oscurità totale e si spostò in direzione del suono dell’acqua che scorreva. Quando le mani incontrarono il getto d’acqua, si fermò. Dio, forse aveva fatto qualcosa che lo aveva ferito. Forse aveva spinto quel innocente recluso troppo oltre, con troppa forza.
    “Parla con me, Michael.” Quando non si sentì altro che lo scorrere dell’acqua, gli occhi di Claire si riempirono di lacrime. “Mi dispiace di averti costretto a farlo.”
    “Non sapevo che sarebbe stato così…”. Michael si schiarì la gola. “Sono in frantumi. A pezzi nella mia stesse pelle. Non sarò mai più completo. È stato magnifico.”
    A Claire cedettero le ginocchia. Almeno non era triste perché aveva trovato l’esperienza sgradevole. “Abbiamo bisogno di sdraiarci vicini.”
    “Cosa farò quando te ne andrai?”
    “Non rimarrai qui, ti ricordi?”
    “Ma sono qui. Devo rimanere. E tu devi andartene.”
    La paura le fece accapponare la pelle. “Non succederà. Non è quello che abbiamo deciso.”
    Michael finì di farsi la doccia e mentre l’acqua ancora gocciolava, fece un respiro profondo, carico di sconfitta. “Sii ragionevole…”
    “Sono dannatamente ragionevole. Sono un avvocato. Ragionare è il mio mestiere.” Claire allungò una mano verso di lui ma non incontrò altro che piastrelle di marmo. Si girò alla cieca, le mani dritte davanti a sé, alla ricerca di Michael, e si ritrovò avvolta nell’oscurità come se questa fosse fatta di viticci. Aveva la sensazione che lui la stesse deliberatamente evitando. “La vuoi smettere di muoverti come un fantasma?”
    Lui ridacchiò. “Sei così… autoritaria.”
    “Lo sono.”
    Il suono di un asciugamano passato su un corpo la fece spostare verso sinistra ma il rumore si spostò mentre lei si avvicinava.
    “Smettila.”
    La voce di Michael le giunse da dietro. “Anche gli uomini che ti hanno amata erano così? Potenti e tenaci? Come lo sei stata tu con me?”
    “Riesci a smaterializzarti o che? Come fai a muoverti tanto in fretta?”
    “Parlami degli uomini che ti hanno amata. Erano forti come te?”
    Claire pensò a Mick Rhodes, l’amico d’infanzia che era anche socio alla WN&S. “Ah… uno lo era. Ma non gli altri. E non mi amavano. Senti, concentriamoci sul presente, okay? Dove sei?”
    “Allora perché hai avuto rapporti intimi con loro? Se non ricambiavano il tuo amore?”
    “Neanche io ne era innamorata. Era solo sesso.” Nel silenzio che seguì, uno strano brivido le percorse la spina dorsale. “Michael? Michael?”
    “Temo di sentirmi piuttosto sciocco.”
    “Come sarebbe?” gli chiese con cautela.
    In qualche modo Claire si rese conto di quando lui uscì dal bagno; era come se i loro corpi fossero sintonizzati l’uno all’altro. Si spostò a tentoni nella stanza più grande. “Michael?”
    “Mi sono comportato in modo infantile, vero?” Adesso la sua voce era calma e pacata. In modo orribile. “Per aver pianto su qualcosa che era… piuttosto normale per te.”
    “Oh, Dio, Michael, no.” Normale? Non era stato normale. Per niente. “Adesso viene voglia di piangere anche a me perché…”
    “E così faccio pena, vero? Non è il caso. Non è un crimine se non provi quello che provo io...”
    “Taci. Immediatamente.” Claire avrebbe voluto puntargli il dito contro ma non era certa in quale direzione farlo. “Non mi fai pena e non ho l’abitudine di mentire. Quegli altri uomini non erano te. Non hanno niente a che fare con noi.”
    E così adesso erano un “noi”. Interessante, pensò Claire.
    “Michael, so che tutto questo è difficile per te e probabilmente aggiungerci anche il sesso non è stata una grande idea. Capisco anche perché possa farti paura l’idea di uscire da qui. Ma non sei solo. Lo faremo insieme.”
    Claire non aveva idea di come riuscirci o dove sarebbero andati, ma l’impegno era stato preso. Con la loro mente. Con il loro corpo.
    Beh, a quanto pareva era diventata d’un colpo romantica. Per tutta la vita aveva preso in giro l’intero concetto del consumare il matrimonio. Per lei il sesso era solo sesso. Adesso però sapeva che le cose non stavano così. Senza motivo apparente sentiva dentro di sé che erano legati insieme. Non aveva alcun senso ma il legame era lì e l’intimità fisica ne faceva parte.
    Le braccia di Michael l’afferrarono da dietro. “Ha senso. Per me è lo stesso.”
    Claire lo strinse a sé e si appoggiò contro di lui. “Non so dove finiremo. Ma mi prenderò cura di te.”
    Rimasero in quella posizione, abbracciati nell’oscurità, uniti. Il corpo di Michael era caldo contro la schiena di Claire e quando si spostò per starle più vicino, lei sentì l’erezione. Mosse i fianchi e si strusciò su di lui.
    “Ti voglio,” gli disse.
    Il respiro che lui emise le accarezzò l’orecchio. “Saresti di nuovo… pronta, così in fretta?”
    “Di solito è l’uomo che ha bisogno di tempo per riprendersi.”
    “Oh. Beh, credo di poter andare avanti tutta la notte…”
    E venne fuori che poteva davvero.
    Fecero l’amore così tante volte che il sesso si confuse in un unico episodio erotico senza fine che durò… Dio, ore e ore. Ben oltre la seconda cena. Nella notte.
    Il corpo di Michael era in grado di avere un orgasmo a distanza di dieci minuti dal precedente ed era spinto a esplorare tutte le gioie carnali del sesso. La fece sua in tutte le posizioni possibili e man mano che prendeva più confidenza, la sua natura di dominatore divenne sempre più evidente. Non importava come iniziavano, finiva sempre con lei sotto, a faccia in su o in giù che fosse. Gli piaceva tenerla ferma con il proprio peso e alle volte con le mani, sottomettendola. Specie se nel frattempo si nutriva anche da lei.
    E Claire lo adorava, tutto quanto. Il modo in cui la dominava, la sensazione di averlo dentro di sé, la bocca attaccata al suo collo. Fu solo quando le penetrazioni diventarono dolorose che trovò il coraggio di fermarsi ma era frustrata all’idea di non poter continuare. Voleva ancora sentirsi soffocare sotto le sue spinte, sentire ancora il suo corpo.
    In qualche modo, anche se non l’aveva scoperto fino a Michael, si era sempre sentita come un uomo in un corpo di donna. Il suo atteggiamento, la sua caparbietà, la sua intelligenza, tutte quelle componenti tipiche del guerriero presenti nella sua personalità non si erano mai trovate a proprio agio nel corpo di cui era dotata, e i suoi interessi non erano mai stati quelli tipicamente femminili, neanche quando era più giovane.
    Ma con il corpo poderoso di Michael sopra di lei, mentre tendeva i muscoli allo spasimo e la penetrava con il suo pene in profondità, Claire si era lasciata andare e così facendo aveva ritrovato il proprio equilibrio. Era forte e debole, potente e sottomessa; era tutto come chiunque. E l’affetto che provava per Michael la stava trasformando, stava cambiando il suo modo di vedere le cose: quei tipi di donne materne, felici, con le camicie sporche di omogeneizzato che non era mai stata in grado di comprendere? Quegli uomini a cui si disegnava ancora un’espressione sciocca sul volto quando parlavano della moglie anche dopo cinquanta anni di matrimonio? Quelle persone con così tanti bambini che la casa sembrava una zona di guerra ma che non vedevano l’ora che fosse Natale così da poter passare del tempo in famiglia?
    Beh, adesso li capiva. Il caos e l’amore andavano di pari passo e il mondo era fantastico proprio per quello.
    Quel pensiero le fece aggrottare la fronte. Come sarebbe stato trattato Michael fuori di lì? Come se la sarebbe cavata lontano dalla sua prigione? Dove sarebbe andato durante il giorno? Cosa avrebbe fatto?
    L’attico con tutte quelle finestre era fuori questione. Avrebbe dovuto comprare un’altra casa. Sì, una casa. Magari a Greenwich o da qualche altra parte vicino alla città. Gli avrebbe preparato una camera da letto in cantina dove poter stare.
    Solo che… non era anche quella una prigione? Non lo stava intrappolando anche lei? Perché quello che vedeva dall’altra parte era lui rinchiuso, in attesa del suo ritorno. Non meritava anche lui di godersi la vita? Per conto proprio? Forse perfino con altri come lui? Ma come trovarli?
    Michael si mosse accanto al suo corpo nudo. La baciò sul collo e disse, “Vorrei che…”
    “Cosa?”
    “Vorrei che ti nutrissi come faccio io. Vorrei darti qualcosa di me stesso.”
    “Mi ha dato…”
    “Farò tesoro di questa notte per sempre.”
    Claire aggrottò la fronte. “Ce ne saranno altre.”
    “Questa è stata particolarmente speciale.”
    Beh, ovviamente. Era stata la sua prima volta, pensò Claire arrossendo. “Lo credo anch’io.”
    E in quel momento arrivò l’ultimo pasto. La colazione.
    Michael si alzò e le portò il vassoio d’argento. Quando lo posò sul letto, la candela sul comodino si accese e la tenue luce bastò a Claire per vedere Michael che passava un dito sul manico della forchetta d’argento.
    Era quasi arrivata l’ora della fuga, pensò. E lo sapeva anche lui.
    Claire si alzò, lo prese per mano e lo portò in bagno. Aprì l’acqua nella doccia e sottovoce gli disse, “Dimmi qual è la procedura. Cosa succede quando Fletcher arriva per le donne?”
    Michael sembrava confuso ma poi le spiegò il programma. “Dopo il pasto, vado nell’angolo e mi incateno. Lui controlla da un buco nella porta. La donna è sul letto, proprio come quando è arrivata. Lui porta dentro il carrello, la sposta lì sopra, e poi esce. Dopo, io sono drogato. Lui mi libera dalle catene. Ed è fatta.”
    “Come sono le donne?”
    “Scusami?”
    “Sono prive di sensi? Si rendono conto di qualcosa? In che stato si trovano?”
    “Sono immobili. Gli occhi aperti ma non sembrano rendersi conto di ciò che succede loro intorno.”
    “Quindi il cibo è drogato. Quel cibo è drogato.” Ma andava bene. Claire non aveva problemi a far finta di essere svenuta.
    “Come fai a sapere quando sta per arrivare?”
    “Arriva quando faccio uscire il vassoio e mi incateno.”
    Claire prese un bel respiro. “Ecco cosa faremo. Voglio che ti incateni ma lascia una delle chiusure dei polsi allentata…”
    “Non posso farlo. Ci sono dei sensori. Non so come, ma lui lo sa. L’anno scorso una chiusura era allentata perché ci era rimasta incastrata dentro una parte della manica. Lui lo sapeva e mi ha fatto metterla a posto prima di entrare.”
    Dannazione. Avrebbe dovuto fare tutto da sola. Il suo unico vantaggio era che Fletcher si sarebbe dovuto avvicinare e prenderla in braccio.
    Claire aspettò ancora un po’ poi chiuse l’acqua. Dopo aver sbattuto l’asciugamano in giro nell’oscurità, riportò Michael in camera da letto.
    Prese la forchetta d’argento dal vassoio e se la infilò in tasca, poi ci ripensò. Se fosse stata in Fletcher, avrebbe contato l’argenteria per assicurarsi che non venisse usata come arma.
    Claire lanciò uno sguardo verso la scrivania. Tombola.
    Prese il vassoio e lo portò in bagno, buttò la maggior parte del cibo nel gabinetto e tirò l’acqua. Poi tornò da Michael. Passando accanto al tavolo, prese una delle matite più appuntite e se la infilò nella tasca della vestaglia.
    Si fermò d fronte a lui e gli porse il vassoio. “È ora.”
    Lui alzò lo sguardo verso di lei, i suoi occhi luccicavano e non era per il loro straordinario colore. C’erano delle lacrime sospese all’attaccatura delle ciglia folte.
    Claire posò il vassoio sul comodino e strinse Michael fra le braccia ma in qualche modo finì per essere lui a stringerla. “Andrà tutto bene. Mi prenderò cura di te.”
    Lui abbassò lo sguardo sul suo viso e sussurrò, “Ti amo.”
    “Oh, Dio… ti amo..”
    “E mi mancherai per sempre.”
    Una delle lacrime le cadde su una guancia mentre, presa dal panico, cercava di liberarsi. Ma poi lui le passò una mano davanti al viso e fu il vuoto.


    6

    Tre settimane dopo…
    Claire fissava fuori dalla finestra del suo ufficio, il cielo autunnale era limpido da far male. La luce del sole così chiara e l’aria così secca che le cime dei grattacieli sembravano affilate come coltelli ottici, gli edifici le laceravano la vista e le procuravano il mal di testa. Accidenti, era stanca. “Che diavolo stai facendo?”
    Lei si girò, dando le spalle al panorama, e posò lo sguardo dall’altro lato della scrivania. “Oh, Mick. Sei tu.”
    Mick Rhodes, ex amante, socio dello studio, bravo ragazzo a trecentosessanta gradi, occupava l’intero spazio tra l’intelaiatura della porta. “Te ne vai?”
    Quando lei non fece altro che annuire, lui scosse la testa. “Non ti stai ritirando. Non puoi andartene. Che diavolo…”
    “Ho perso la carica, Mick.”
    “Da quando? Alla fine di agosto ti stavi divorando il consulente della controparte per la fusione della Technitron!”
    “Non ho più fame.” Il che era vero sia in senso figurato, dal punto di vista professionale, che in senso letterale. Non aveva appetito per nulla dalla settimana precedente.
    Mick si allentò la cravatta rossa e chiuse la porta alle proprie spalle. “Allora prenditi una vacanza. Prenditi un mese. Ma non gettare nel cesso la tua intera carriera solo per un momento di stanca. L’affare Technitron non è andato in porto, d’accordo. Ce ne saranno altri.”
    Claire ascoltò soprappensiero il telefono che squillava sulla scrivania di Martha fuori nel corridoio. E le voci degli altri avvocati che passavano di corsa davanti al suo ufficio. E il suono della stampante, come di uccelli che beccano.
    “Mi è sempre piaciuto il tuo nome,” gli disse piano. “Te l’ho mai detto?”
    Mick sgranò gli occhi come se fosse impazzita. Beh, era così. Si sentiva strana dal fine settimana del Labour Day quando invece di lavorare aveva dormito per tre giorni di fila.
    A dire la verità Claire temeva che fosse colpa sua se l’affare Technitron non era andato in porto. Da quel fine settimana, si sentiva fuori fase. Ammorbidita. Ansiosa e distratta.
    “Claire, forse dovresti parlare con…”
    Lei scosse la testa. “Perché usi Mick? Non ho mai sentito nessuno chiamarti altro che Mick. Michael è un nome talmente… bello.”
    “Ah, sì. Ascolta, credo davvero che dovresti parlare con qualcuno.”
    Probabilmente aveva ragione. Di notte, non riusciva a dormire perché era perseguitata dai sogni e durante il giorno era preda della depressione senza saperne la causa. Certo, l’affare Technitron era sfumato e, forse, in parte era stata colpa sua, ma non poteva essere quella la ragione dell’apatia che la pervadeva o del dolore al centro del petto.
    Martha bussò alla porta e mise dentro la testa. “Scusatemi, il dottore è sulla linea due e pensavo volessi sapere che la vecchia signorina Leeds è morta. Il maggiordomo ha lasciato un messaggio martedì ma si è perso nel sistema. L’ho scoperto solo adesso.”
    La signorina Leeds.
    Claire si portò una mano alla testa, un’ondata di odio senza senso l’attraversò e le tempie iniziarono a martellarle. “Ah, grazie, Martha. Mick, noi parliamo più tardi. E a proposito, credo che venerdì sarà il mio ultimo giorno. Non ho ancora deciso.”
    “Cosa? Non te ne puoi andare così in fretta.”
    “Ho fatto una lista dei miei casi, dei clienti e della situazione di ognuno. Lascerò che vi scanniate tra di voi per decidere chi avrà cosa.”
    “Gesù Cristo, Claire…”
    “Chiudi la porta quando esci. E Martha, per favore, scopri dove e quando sarà il funerale della signorina Leeds.”
    Rimasta sola, sollevò la cornetta del telefono. “Parla Claire Stroughton.”
    “Per favore attenda che le passo il dottor Hughes.”
    Claire aggrottò la fronte e si chiese di cosa dovesse parlare con il dottore. Gli esami che aveva fatto il giorno prima non sarebbero dovuti essere pronti prima di qualche giorno…
    “Ciao, Claire.” Emily Hughes andava sempre dritta al punto. E quello era il motivo per cui a Claire piaceva. “So che sei occupata quindi non ti faccio perdere tempo. Sei incinta. È per questo che ti sentivi stanca e avevi la nausea.”
    Claire sbatté le palpebre. Poi alzò gli occhi al cielo. “No, non lo sono.”
    “Sei di circa tre settimane.”
    “Non è possibile.”
    “So che prendi la pillola. Ma gli antibiotici che hai preso alla fine di agosto per il raffreddore potrebbero averne ridotto l’efficacia…”
    “Non è possibile perché non ho fatto sesso.” Beh, non nella realtà. Ultimamente i suoi sogni erano roventi e forse erano uno dei motivi per cui si sentiva esausta. Non faceva che svegliarsi nel cuore della notte, in preda agli spasmi, madida di sudore e bagnata tra le gambe. Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare l’aspetto del suo amante onirico, ma Dio, la faceva sentire meravigliosamente, almeno fino alla conclusione della fantasia. La fine era sempre la stessa, si lasciavano e lei si svegliava in lacrime.
    “Claire, si può rimanere incinta senza aver tecnicamente fatto sesso.”
    “Okay, lascia che sia più chiara. Non sto con un uomo da oltre un anno. Quindi non sono incinta. Il laboratorio deve aver confuso il mio campione di sangue con quello di qualcun altro. È l’unica spiegazione logica. Perché, credimi, mi ricorderei se avessi fatto sesso.”
    Ci fu una lunga pausa. “Ti dispiacerebbe tornare per un altro prelievo?”
    “Nessun problema. Passo domani.”
    Quando riattaccò, Claire diede un’occhiata nell’ufficio e immaginò di tirare via i diplomi di laurea di Harvard e di Yale. Non era sicura di dove sarebbe andata. Forse su al nord. Caldwell, per esempio, era proprio un bel posto. E non è che avesse bisogno di lavorare. I soldi non le mancavano, e se si fosse annoiata avrebbe potuto attaccare un’insegna e prendere qualche cliente privato. Ci sapeva fare con i testamenti e chiunque con un briciolo di cervello poteva concludere un contratto di compravendita immobiliare.
    Martha bussò e mise di nuovo la testa dentro la stanza. “Il funerale della signorina Leeds comincia fra mezz’ora, ma è in forma privata. Però dopo ci sarà un ricevimento alla villa. Se parti adesso hai il tempo per arrivarci.”
    Se la sentiva davvero di guidare fino a Caldwell? Per un cliente morto che, per qualche ragione, adesso odiava? Dio, non aveva la minima idea del perché detestasse la povera, vecchia, squinternata signorina Leeds.
    Martha si spinse sul naso gli occhiali dalla montatura in metallo. “Claire… hai un aspetto terribile. Non andare.”
    Ma non poteva non andare. Anche se la testa le pulsava al ritmo del cuore e lo stomaco era sottosopra, non poteva assolutamente non andarci. Doveva andarci.
    “Fai preparare la macchina. Vado a Caldwell.”

    Claire parcheggiò al fondo del vialetto sulla proprietà dei Leeds, l’ultima di una fila di quasi cinquanta auto che si snodava fino all’ingresso della villa. Non usò i parcheggiatori perché non aveva intenzione di trattenersi a lungo e non c’era alcun motivo di aspettare perché qualcuno le riportasse la Mercedes. E poi aveva bisogno di una boccata d’aria.
    E anche di un’aspirina, a quanto pareva. Nel momento in cui scese dalla berlina e alzò lo sguardo verso la massiccia casa di pietra, fu trafitta da un tremendo mal di testa. Si accasciò contro la carrozzeria della Mercedes e non riuscì a far altro che ansimare mentre un senso di terrore l’attraversava.
    Il male era in quella casa. C’era il male in quella casa.
    “Signora? Sta bene?
    Era uno dei parcheggiatori. Un ragazzino sui venti anni con addosso una polo che sul petto riportava la scritta MCCLANE’S PARKING, ricamata con il filo rosso.
    “Sto bene.” Claire si sporse con cautela dentro l’auto per prendere la sua Birkin e poi chiuse lo sportello. Si girò per fare un sorriso al ragazzo ma questo la guardava in modo strano, come se si aspettasse di vederla svenire da un momento all’altro e stesse pregando perché non succedesse durante il suo turno.
    “Ah, signora. Stavo proprio per prendere questa auto qui.” Fece un cenno con la testa verso la Lexus di fronte a Claire. “Vuole che le dia un passaggio fino alla villa?”
    “Grazie ma preferisco camminare.”
    “Okay… se è sicura.”
    Claire si incamminò lungo il vialetto, lo sguardo fisso sulla casa di pietra grigia. Quando arrivò davanti all’ingresso principale e sollevò il batacchio, stava ormai tremando. In preda alle vertigini, debole, si sentiva come se le fosse di nuovo venuta l’influenza; il corpo era percorso da ondate di caldo e freddo e la testa la martellava.
    Fletcher aprì la porta.
    Claire indietreggiò quando si trovò davanti il viso del vecchio, preda, senza motivo apparente, di un panico improvviso e senza controllo.
    Ma d’un tratto venne salvata.
    L’istinto che faceva di lei un avvocato, quello che la rendeva così brava nei confronti con i consulenti della controparte, quello che la rendeva un negoziatore spietato, quello che era entrato in azione innumerevoli volte quando non aveva potuto permettersi di mostrare le proprie emozioni… quel istinto si strinse intorno al panico sbucato dal nulla, al terrore e la calmò all’istante.
    Non mostrare mai debolezza di fronte al nemico. Mai.
    Anche se, perché diavolo un vecchio maggiordomo le provocava una tale reazione? Chi diavolo lo sapeva? Comunque, Claire era grata perché almeno non si sentiva più come se stesse per svenire. Un momento la mente era annebbiata, adesso era chiara.
    Claire sorrise con freddezza e porse la mano, i suoni della veglia all’interno della casa le giungevano indistinti all’orecchio.
    “Sono spiacente per la sua perdita. E ho portato il testamento,” disse Claire dando qualche pacca alla borsa.
    “Grazie, signorina Stroughton.” Fletcher abbassò lo sguardo, l’espressione più depressa del solito. “Mi mancherà.”
    “Possiamo rivedere il testamento la prossima settimana o dopo la veglia. Quando le fa più comodo.”
    Lui annuì. “Stasera sarebbe meglio. Grazie per il suo riguardo.”
    “Nessun problema.” Claire fece un sorriso tirato e strinse la borsa più stretta. Mentre entrava in casa, pensò sconvolta che avrebbe voluto usare una delle migliori creazioni di Hermes come arma contro il maggiordomo.
    Claire si accodò al drappello di persone che gironzolava tra la sala da pranzo e il salotto. Fece un cenno di saluto a un buon numero di persone, diverse delle quali erano amministratori delegati delle compagnie di cui la famiglia Leeds possedeva azioni e che lo studio di Claire rappresentava. Del resto delle quasi cento persone fra uomini e donne presenti, Claire suppose che almeno la metà dovessero essere membri anziani di varie opere benefiche. Senza dubbio si aspettavano di ricevere un grosso assegno quel giorno.
    Mentre si mescolava agli altri ospiti, declinava antipasti e cercava di capire perché fosse pronta per il combattimento quando non c’era nulla contro cui lottare, lo sguardo di Claire continuava a spostarsi verso la scalinata. C’era qualcosa… qualcosa… nascosto dietro.
    Si spostò tra la folla e si diresse verso la maestosa scalinata. Posò una mano sulla balaustra intarsiata e una voce le risuonò nella testa, una che prevalse sul rumore delle chiacchiere, il mal di testa e il desiderio di uccidere Fletcher.
    Dietro le scale. Vai dietro le scale. Trova l’ascensore.
    Senza fermarsi a chiedersi come sapeva cosa ci fosse lì dietro, sgusciò oltre il fianco della scalinata e riuscì a trovare una piccola alcova…
    Dove c’era un ascensore. Un modello vecchio stile in vetro e ottone.
    Prendilo e scendi in cantina.
    La voce era perentoria e Claire allungò una mano per aprire la grata. Un momento prima di entrare, alzò lo sguardo. C’era una lampadina montata in cima.
    Se avesse usato l’ascensore, quella cosa avrebbe mandato un segnale. E l’istinto le diceva di nascondere le proprie tracce. Se Fletcher avesse saputo dove stava andando, non sarebbe riuscita a …
    Beh, merda, non sapeva quello che stava facendo. L’unica cosa chiara era che doveva scendere in cantina senza farsi scoprire dal maggiordomo.
    Si guardò alle spalle, vide una porta sotto l’arco della scalinata e la raggiunse. C’era un chiavistello d’ottone in cima e lei lo fece scattare prima di provare a girare la maniglia.
    Centro!
    Dall’altra parte c’era una serie di scalini grossolani, illuminati da vecchie lampadine impolverate e ingiallite. Claire guardò dietro di sé. Nessuno stava facendo caso a lei e, cosa più importante, Fletcher sembrava sparito.
    Si chiuse la porta alle spalle e cominciò a scendere le scale, i tacchi delle scarpe facevano un suono ritmato che echeggiava intorno a lei.
    Dannazione, erano rumorosi.
    Si fermò, si tolse le scarpe e le infilò nella borsa. Senza fare più alcun rumore, si mosse più in fretta, i sensi all’erta. Dio, la scala sembrava scendere all’infinito, le pareti e il pavimento di roccia le ricordavano le piramidi egiziane, e le sembrò di essere a metà strada per la Cina quando arrivò al primo pianerottolo. E c’era ancora strada da fare.
    Man mano che scendeva la temperatura si abbassava, una buona cosa. Più freddo faceva, maggiore era la sua concentrazione fino a che il mal di testa scomparve e il corpo non fu altro che energia compressa. Si sentiva come se fosse in missione di salvataggio, anche se, dannazione, non sapeva chi o cosa dovesse far uscire dalla cantina.
    Le scale terminarono in un corridoio fatto di pietra come il resto della casa. Le luci montate sul soffitto erano tenui, penetravano a mala pena l’oscurità.
    Doveva andare a destra o a sinistra? A sinistra c’era solo altro corridoio. A destra… c’era solo altro corridoio.
    Vai a destra.
    Fece circa cinquanta metri, forse settantacinque, i piedi scalzi non facevano rumore, gli unici suoni erano quello della borsa contro le costole e il fruscio dei vestiti. Stava per perdere la speranza e tornare indietro quando trovò… una grossa porta. Era una cosa che ci si aspetta di vedere nelle segrete di un castello, ricoperta di borchie di ferro e chiusa con una sbarra grossa come la sua gamba.
    Nel momento in cui vide la porta, cominciò a piangere senza riuscire più a fermarsi.
    Singhiozzando, si spostò verso il pannello di solida quercia. Circa all’altezza degli occhi, c’era uno spioncino di qualche genere. Claire si mise in punta di piedi e guardò…
    “Non dovrebbe essere qui.”
    Claire si girò di scatto. Fletcher era proprio alle sue spalle, un braccio nascosto con noncuranza dietro la schiena.
    Claire si asciugò gli occhi. “Mi sono persa.”
    “Sì.”
    Claire infilò una mano nella borsa e l’altra nella tasca della giacca.
    “Perché è scesa qui sotto?” le chiese il maggiordomo, facendo un passo avanti.
    “Non mi sentivo bene. Quando ho trovato la porta sotto le scale, volevo allontanarmi dalla folla così mi sono messa a gironzolare qui.”
    “Invece di andare in giardino?”
    “C’era gente anche lì. Tanta gente.”
    Fletcher non se la stava bevendo e a Claire non importava. Aveva solo bisogno che si avvicinasse un po’ di più.
    “Perché non è andata in uno dei salottini?”
    Quando fu a tiro, Claire tirò fuori una scarpa dalla borsa e la lanciò sul pavimento alla sua sinistra. Fletcher si girò in direzione del suono, Claire tirò fuori lo spray al pepe attaccato al portachiavi e lo portò all’altezza degli occhi, così quando il maggiordomo si rigirò e sollevò la siringa ipodermica che teneva in mano, lei lo prese in piena faccia.
    Con un grido, Fletcher fece cadere quello che stava per usare contro di lei e si portò le mani agli occhi, inciampando all’indietro fino a sbattere contro la parete opposta.
    Lo spray al pepe era illegale a New York, naturalmente. E grazie a Dio quella era una legge che infrangeva da dieci anni. Muovendosi in fretta, Claire prese l’ago, lo spinse nel braccio del maggiordomo e premette con forza lo stantuffo. Fletcher strillò e poi crollò sul pavimento di pietra.
    Claire non sapeva se fosse morto o sedato quindi non aveva idea di quanto tempo le rimanesse. Corse verso la porta della prigione e si ruppe due unghie prima di riuscire a sollevare la sbarra.
    Un senso di urgenza la rese frenetica e le diede la forza per spostare la sbarra che sembrava pesare centinaia di chili. Quando l’ostacolo fu rimosso, Claire strinse le mani intorno alla maniglia, la spinse verso il basso e usò tutto il proprio peso per aprire la porta.
    Luce di candela. Libri. Un profumo intenso e seducente…
    Lo sguardo di Claire saettò per la stanza. Verso un uomo che, con espressione di completa incredulità, si stava alzando da una scrivania piena di…disegni che la ritraevano.
    A Claire girò la testa e un dolore lancinante la privò della vista. Il suo corpo si afflosciò e poi le ginocchia le cedettero del tutto, il pavimento di pietra non sarebbe mai riuscito ad attutire il colpo quando l’avesse raggiunto.
    Immediatamente braccia forti la cinsero, sollevandola e portandola verso… un letto con una trapunta in velluto e cuscini soffici come ali di colomba.
    Claire sollevò lo sguardo verso l’uomo e le lacrime le striarono le guance mentre gli sfiorava il viso. Dio, quel viso bellissimo era quello del suo amante onirico, quello che l’aveva tenuta sveglia di notte, quello che aveva rimpianto di giorno.
    “Come hai fatto a tornare?” le chiese.
    “Chi sei?”
    Lui sorrise. “Il mio nome è Michael.”
    Il dolore alle tempie cessò d’improvviso… e le tornarono i ricordi, una sequenza rapida di immagini, sensazioni, sapori e odori… tutti di lei e Michael, insieme in quella stanza.
    Claire si aggrappò a lui e nascose il viso tra i suoi capelli, singhiozzando per averlo quasi perso, per il fatto che se la signorina Leeds non fosse morta in quel momento, Claire non sarebbe mai più tornata in quella villa perché era decisa a lasciare lo studio.
    E poi si arrabbiò e lo spinse via. “Perché diavolo l’hai fatto! Perché mi hai lasciata andare!” Gli diede un pugno sul petto. “Mi hai lasciata andare!”
    “Mi spiace, amore mio…”
    “Non chiamarmi "amore mio"!” Sarebbe andata avanti con la sfuriata quando le venne in mente che il maggiordomo poteva essere solo temporaneamente fuori gioco. Non aveva idea di cosa ci fosse nella siringa e il bastardo aveva una forza sovrumana.
    Claire abbracciò stretto Michael e si sforzò di mantenere la calma. “Okay…va bene… senti, litigheremo per questo più tardi. Adesso, tu vieni con me.”
    Ma come avrebbe fatto a farlo uscire dalla casa? Diavolo, come avrebbe fatto lei ad alzarsi e a muoversi? Il mal di testa se ne era andato ma aveva la nausea…
    Porca miseria. Era davvero incinta.
    Claire guardò Michael. “Ti amo.”
    Il viso di lui si trasformò, lo stress scivolò via, un amore profondo e forte affluì sui suoi lineamenti perfetti tanto che quella vista angelica le bruciò gli occhi. “Non ne sono degno, ma sono così grato…”
    “Con tutto l’amore e l’affetto possibile, chiudi il becco su quella stronzata di "non sono degno". Adesso aiutami ad alzarmi da questo letto.” Barcollò per un momento quando si mise in piedi; poi guardò la catena legata alla caviglia di Michael. “Dobbiamo toglierti quella cosa di dosso.”
    Michael fece un passo indietro e scosse la testa. “Non posso venire. Non posso andare via. Non mi lasceranno. Fletcher e la mamma…”
    “Tua madre è morta,” gli disse con quanta più gentilezza potesse, considerando che avrebbe voluto dissotterrare la donna per ucciderla lei stessa.
    Michael sbiancò. Sbatté le palpebre più volte.
    “E Fletcher è svenuto sul pavimento del corridoio.” Quando non disse nulla, Claire gli prese le mani fra le sue. “Michael, voglio aiutarti con ciò che provi in questo momento ma non abbiamo tempo. Dobbiamo uscire di qui. Ho bisogno che ti concentri.”
    “Io… dove andrò?”
    “Verrai a vivere con me. Se lo vuoi. E se non è così, beh, sarai comunque libero. Potrai fare quello che vorrai.”
    Lo sguardo di Michael si mosse per la stanza, soffermandosi sul letto e sui libri. Claire pensò che avrebbe lottato per rimanere. Cosa comprensibile dati i decenni di isolamento e abusi subìti. Doveva scuoterlo in qualche modo…
    Gli prese una mano e se la posò sul ventre. “Michael, mentre ero con te, abbiamo creato qualcosa insieme. Un bambino. È dentro di me. Il tuo bambino è dentro di me. Ho bisogno che tu venga via con me. Con… noi.”
    Diventò bianco come un lenzuolo. E poi…
    Beh, il cambiamento sarebbe stato spaventoso se Claire non si fosse fidata di lui in modo implicito, se non avesse saputo che non le avrebbe mai fatto del male. Sembrò ingigantirsi anche se le dimensioni del suo corpo rimasero inalterate, strizzò gli occhi, il viso divenne una maschera di virile autorità… emanava letteralmente aggressività.
    “Il mio bambino? Mio figlio?”
    Claire annuì anche se adesso non era più convinta di aver fatto la cosa giusta a dirglielo…
    Lui l’afferrò e la strinse così forte da piegarle le ossa. Nascose il viso tra i suoi capelli e il tono della voce si abbassò fino ad essere un ringhio.
    “Mia,” le disse. “Tu sei mia. Per sempre.”
    Claire ridacchiò. E si preoccupava che lui volesse vivere senza di lei? Che barzelletta! “Bene. Immagino che siamo fidanzati. Adesso andiamo. Dobbiamo uscire di qui.”
    “Stai bene? Prima dimmi se stai bene.”
    “Benone per quanto ne sappia. L’ho appena scoperto.”
    “Sei certa?”
    “Posso fare ciò che voglio. Sono giovane e in salute.” Claire gli prese il viso fra le mani. “Dobbiamo andare. Dobbiamo davvero andare.”
    Michael annuì e la lasciò andare. Con passo calmo si diresse verso la parete dov’era fissata la catena che lo teneva legato alla caviglia e con uno strattone violento tirò via quel maledetto coso. Si staccò anche un intero pezzo di muro, una cosa grossa come una testa, e Michael scagliò la palla contro il muro e la fece a pezzi.
    Poi tornò da Claire come se non avesse fatto niente di che.
    “Gesù Cristo! Perché non l’hai fatto prima?”
    “No avevo nessun posto dove andare. Nessun posto migliore dove stare.” Guardò i libri per un’ultima volta; poi raccolse la catena, se l’arrotolò su un braccio e con fare galante le cinse le spalle con l’altro. “Andiamo.”
    Uscirono dalla porta insieme. Fletcher era ancora steso sul pavimento di pietra, ma aveva gli occhi aperti e sbatteva le palpebre lentamente.
    “Merda,” disse Claire quando Michael guardò il maggiordomo. Dopo aver velocemente analizzato la situazione nella propria testa, Claire mormorò, “Lasciamolo lì e basta.”
    Dopotutto, considerato il fatto che l’uomo aveva sequestrato circa cinquanta donne e aveva tenuto prigioniero il figlio della propria padrona per mezzo secolo, era improbabile che cercasse di perseguirli per vie legali. E l’idea di chiedere a Michael di ucciderlo era troppo orrenda da contemplare. Forse perché Michael l’avrebbe fatto se lei glielo avesse chiesto.
    Claire diede uno strattone alla manica di Michael. “Forza. Andiamo…” La veglia al piano di sopra era una complicazione. “Merda, ci sono un centinaio di persone in casa. Come potremo…”
    Michael si riscosse. “Conosco una via d’uscita. Di quando ero piccolo. Andiamo da questa parte.”
    Fecero circa dieci metri poi Claire si voltò di colpo. L’ago. C’erano le sue impronte sull’ago ipodermico. Nell’eventualità poco probabile che Fletcher decidesse di farle causa, sarebbe stato più difficile senza quel genere di prova. E la sua scarpa. Doveva riprendersi la scarpa.
    Meglio coprire tutte le tracce.
    “Aspetta!” Claire tornò indietro di corsa. Si mise a cercare l’ago e lo trovò ancora conficcato nel braccio dell’uomo. Mentre lei lo tirava via e lo infilava in borsa lui sollevò lo sguardo. Mosse la bocca. Annaspò come un pesce.
    Dopo aver recuperato la scarpa, Claire tornò da Michael ma aveva le gambe di pasta frolla.
    “Sei debole,” le disse con la fronte corrugata.
    “Sto bene…”
    Michael la prese in braccio e si mise a camminare due volte più veloce di quanto lei avrebbe fatto, i passi lunghi divorarono la lunghezza dei corridoi della cantina. Si muoveva veloce e determinato, cosa che stupì un po’ Claire e le fece ricordare che gentile o meno che fosse, Michael rimaneva uomo, un uomo con la propria donna tra le braccia. E Dio, era forte. Portava tutto il suo peso oltre alla catena, che chissà quanto pesava, e niente sembrava poterlo minimamente rallentare.
    Giunse davanti a una porta robusta al fondo del corridoio, si piegò da un lato e provò a girare la maniglia. Quando questa non diede segni di cedimento, Michael fece due passi indietro, tirò un calcio alla porta e la spalancò.
    “Cristo,” disse Claire. “Fai sembrare Terminator un marmocchio di due anni.”
    “Cos’è un terminator?”
    “Dopo.”
    Una volta fuori, la fresca aria della sera li avvolse, Michael perse l’equilibrio e spalancò gli occhi. Cominciò a respirare a fatica, come se fosse preda di un attacco di panico.
    “Mettimi giù,” gli disse piano Claire, sapendo che gli sarebbe servito un momento per orientarsi.
    Lui la lasciò andare con gentilezza e si mise a guardare il cielo, gli alberi, gli immensi giardini che circondavano la villa. Poi alzò lo sguardo verso il monolite di pietra in cui era stato intrappolato per così tanto tempo. Claire poteva immaginare quanto si sentisse perso, come potessero essere in subbuglio le sue emozioni, quanto si sentisse combattuto a dover lasciare il conforto claustrofobico della sua prigione. Ma non c’era tempo per farlo abituare.
    “Michael, la mia auto è al fondo del vialetto. Di fronte alla casa.”
    “Ce la posso fare,” sussurrò lui.
    “Sì.”
    Claire lo prese per mano, che era sudata, e lo trascinò avanti. Senza esitazione, Michael sollevò le catene e la condusse dall’altro lato della vasta dimora.
    L’auto di Claire era parcheggiata dove l’aveva lasciata. Attraversarono i giardini in fretta stando vicini alle siepi. Claire sentiva l’erba bagnata e morbida sotto i piedi scalzi e i polmoni si riempirono della tersa aria autunnale.
    Per favore, Dio, lasciaci uscire di qui tutti interi.
    Quando fu a portata della Mercedes, Claire usò il telecomando e le luci della berlina lampeggiarono.
    “Che tipo di macchina è?” chiese Michael sbalordito. “Sembra una navicella spaziale.” Poi guardò le altre auto. “Sembrano tutte delle…”
    Adesso non era proprio il momento per Michael di tirare fuori il suo lato Car & Driver. “Sali.”
    “Signora?”
    Claire alzò lo sguardo. Il posteggiatore, il ragazzo che l’aveva incontrata prima, stava venendo verso di lei. Aveva l’aria confusa, come se non riuscisse a capire da dove fosse spuntata. O forse era solo sorpreso di vederla insieme a un uomo grande e grosso in vestaglia di seta con una catena arrotolata su un braccio.
    “Sto andando via,” gli disse Claire facendo un gesto di saluto con la mano, poi sibilò a Michael, “Sali su sta maledetta auto.”
    Il ragazzo si passò una mano sui capelli. “Ah…”
    “Grazie per l’aiuto.” Anche se non aveva fatto nulla per aiutarla.
    Claire fu quanto mai sollevata quando mise in moto e uscì dal parcheggio…
    Un’altra Mercedes apparve proprio dietro di lei, pronta ad usare il vialetto, impedendole così di fare retromarcia e uscire direttamente sulla strada. Claire non ebbe altra scelta se non ingranare la prima e fare il giro passando davanti alla casa dove i parcheggiatori erano tutti in fila e la gente aspettava.
    Dannazione.
    “Abbassa la testa,” disse a Michael mentre si avvicinavano all’ingresso principale.
    Per favore, oh, per favore, oh, per favore…
    Quando fu quasi davanti alla villa, un coppia di anziani si fece avanti per prendere la propria auto. Con la Mercedes dietro al culo e la Cadillac della coppia a sbarrarle la strada, Claire era in trappola.
    Cominciò a sudare, sentiva l’acqua scorrerle tra i seni e sotto le ascelle e strinse con forza il volante.
    Il portone si aprì e Claire si aspettava di veder uscire il maggiordomo. Ma era solo un’altra coppia di anziani, biglietto in mano mentre chiamavano il parcheggiatore.
    Gli occhi di Claire tornarono a fissare l’auto davanti. L’uomo era seduto dietro al volante ma la donna chiacchierava con il ragazzo che le teneva aperta la portiera. Muoviti, nonna! Ovviamente la donna non lo fece. Quando finalmente si fu seduta, armeggiò con la gonna e sembrò litigare con il marito per un po’, poi si girò di nuovo verso il parcheggiatore.
    Centocinquantacinque milioni di anni più tardi, i fanalini dei freni della Cadillac lampeggiarono e la berlina cominciò a muoversi al minimo.
    Col cuore che le batteva all’impazzata, le mani tese, i polmoni un blocco di ghiaccio, Claire supplicò e pregò l’universo perché li lasciasse fuggire.
    E poi accadde.
    La Cadillac scese la collina. E così fece Claire. E poi svoltò sulla strada dietro alla coppia. E poi si allontanò dalla tenuta dei Leeds a cinquanta chilometri l’ora.
    Non appena raggiunse un tratto pianeggiante, spinse sull’acceleratore e superò la Cadillac.
    Occhi sulla strada, Claire rovistò nella borsa. Le serviva il telefono. Dov’era… Lo tirò fuori e premette il tasto di chiamata rapida.
    Mentre il telefono squillava, Claire lanciò un’occhiata a Michael. Si teneva forte al sedile, braccia tese contro la portiera da una parte e il bracciolo dall’altra, gambe bloccate sotto il cruscotto. Era bianco come un lenzuolo e gli occhi gli roteava nel cranio.
    “Allacciati la cintura,” gli disse. “È a destra. Tirala verso il basso e mettitela intorno come ho fatto con la mia.”
    Michael trovò la cintura e l’allacciò, poi riprese a impersonare il cervo davanti ai fanali, preparandosi per un impatto imminente che non sarebbe mai avvenuto.
    A Claire venne in mente che Michael poteva benissimo non essere mai salito su un’auto prima di allora.
    “Michael, non posso rallentare. Io…”
    “Sto bene.”
    “Andremo…” Finalmente risposero alla chiamata e il saluto dell’uomo fu un enorme sollievo. “Mick? Grazie a Dio. Ascolta, sto venendo da te e mi serve qualche favore. Grossi favori che non sarò mai in grado di ripag… grazie. Oh, Gesù, grazie. Circa un’ora. E c’è qualcuno con me.” Claire riattaccò e posò lo sguardo sul sedile accanto. “Andrà tutto bene. Stiamo andando da un mio amico che abita a Greenwich, nel Connecticut. Possiamo rimanere lì. Ci aiuterà. Andrà tutto bene.”
    Almeno lo sperava. Claire suppose che il maggiordomo non li avrebbe perseguiti usando i canali ufficiali, ma mentre guidava nella notte, si rese conto che c’erano altri modi per trovare qualcuno. Modi che non coinvolgevano il sistema legale umano. Merda. Non c’era modo di sapere di quali risorse disponesse Fletcher, e se aveva avuto il necessario per aver successo in quello che faceva da così tanto tempo, era furbo.
    Il che significava che si era segnato il suo numero di targa. E sapeva anche dove abitava, giusto? Perché… oh, Dio, si era svegliata nel suo letto dopo i tre giorni passati con Michael. In qualche modo Fletcher l’aveva riportata a casa.
    Forse aveva anche qualche trucco mentale a sua disposizione.
    Forse avrebbero dovuto ucciderlo.

    7

    Quando, un’ora più tardi, scorse la casa in stile coloniale di Mick Rhodes, Claire si domandò se stesse facendo la cosa giusta a coinvolgere, anche se marginalmente, il suo amico.
    Dopo tutto, stava entrando nel suo vialetto con un vampiro fuggitivo che soffriva, comprensibilmente, di agorafobia. E che aveva anche il mal d’auto.
    Claire parcheggiò e notò che il colorito di Michael tendeva al verde. “Siamo al sicuro.”
    Michael inghiottì con forza. “E non ci stiamo più muovendo. Bene.”
    Si accesero le luci sul davanti della casa e Mick uscì sul portico.
    Claire aprì la portiera e scese dall’auto mentre Michael faceva lo stesso. “Mick è un mio vecchio amico. Di lui possiamo fidarci.”
    Michael annusò l’aria. “Ed è stato un tuo amante, vero?” chiese sottovoce. “Ti ricorda con un certo…bisogno.”
    Gesù. “È stato tanto tempo fa.”
    “Certo.” La paura e la nausea erano sparite, Michael era mortalmente serio. E fissava Mick come se l’altro uomo fosse un nemico.
    Evidentemente i vampiri erano piuttosto territoriali nei confronti dei propri compagni.
    Mick alzò una mano in segno di saluto e disse, “Sono contento che ce l’hai fatta. E il tuo amico chi è?”
    “Ci aiuterà, Michael,” disse Claire, facendo il giro dell’auto e prendendolo per mano. “Andiamo.”
    Lo sguardo di Michael si spostò per incontrare quello di Claire. “Se ti tocca in modo inappropriato, lo mordo. Tanto per essere chiari.” Poi tornò a guardare l’altro uomo. “Non sono un animale e non mi comporterò come tale. Ma tu sei mia e le cose andranno meglio per tutti se lui lo rispetterà.”
    Evidentemente i vampiri erano molto territoriali nei confronti dei propri compagni. “Lo farà. Lo giuro.”
    Mick si mosse con impazienza. “Allora voi due, venite o ve ne andate?”
    “Veniamo,” mormorò Claire avvicinandosi. Quando arrivarono sulla soglia, disse, “Questo è Michael.”
    “Piacere di conoscerti, Michael.”
    Michael diede un’occhiata alla mano che gli veniva offerta. Fece un piccolo inchino invece di allungare la propria mano e Claire si chiese se era perché non si fidava a toccare Mick nemmeno per educazione. “Come va?”
    “Tutto a posto.” Mick rimise la mano in tasca scrollando le spalle, poi aggrottò la fronte. “Catene… sono catene quelle che hai intorno al braccio?”
    Claire fece un bel respiro. “Te l’ho detto che mi servivano dei grossi favori.”
    Ci fu un attimo di esitazione. Poi Mick scosse la testa e fece un cenno verso la porta aperta. “Entrate, voi due, e che ne dici se cominciamo col disfarci di quella ferraglia, amico. A meno che non sia un accessorio alla moda? Un seghetto devo averlo.”
    Diede un’occhiata a Claire. “E forse vorrai dirmi che diavolo sta succedendo.”
    Un’ora più tardi, Claire era in biblioteca a bere caffè e a osservare Michael oltre l’orlo della tazza. Era finalmente libero dalle catene e sembrava tornato se stesso dopo che la nausea per la corsa in auto era sparita del tutto. Indossava ancora la vestaglia e si intonava perfettamente all’ambiente, pensò Claire. Nella biblioteca con la sua atmosfera formale e antiquata, Michael sembrava appena uscito da un romanzo vittoriano, forse proprio quello che teneva in mano. Gli piacevano i libri di Mick, ne studiava i dorsi, li tirava giù, li sfogliava.
    “Dove l’hai trovato?” le chiese Mick sottovoce.
    “È una lunga storia.”
    “È… insolito, vero?”
    Cristo, non ne hai idea, pensò Claire mentre sorseggiava il caffè.
    “Michael è diverso da qualsiasi uomo abbia mai incontrato.”
    “Ed è il motivo per cui lasci lo studio, vero?” Quando Claire non rispose, il suo amico mormorò, “Allora cosa ti serve?”
    “Un posto dove passare la notte, tanto per cominciare.” Claire abbassò lo sguardo verso la tazza. “E voglio comprargli una nuova identità. Certificato di nascita, numero di previdenza sociale, estratti conto, ricevute delle tasse, patente di guida. So che conosci delle persone che possono occuparsene, Mick, e quello per cui spendo i soldi dovrà essere a prova di bomba. Deve valere davanti a un giudice. Perché potremmo finire proprio lì.”
    Cosa che non sarebbe stata affatto divertente.
    “Merda… in che razza di guaio ti sei cacciata?”
    “Nessun guaio.” Era molto, molto peggio.
    “Bugiarda. Ti presenti qui con un uomo in catene che… parla come se venisse dall’epoca vittoriana ma ha l’aspetto di uno che potrebbe tranquillamente mangiarmi vivo… ha i capelli che gli arrivano al culo e si veste come Hugh Hefner. E profuma come… beh, profuma alla grande, veramente. Che razza di cologna è? Credo di volerla anch’io.”
    “Non è in vendita. E Mick, francamente, meno ne sai e meglio è.” Perché Claire stava per diventare un criminale dal colletto bianco. “Voglio anche usare il tuo computer. Oh, e dobbiamo dormire in cantina.”
    Michael si girò, corrugò la fronte nel vederli così vicini, attraversò la stanza e le appoggiò le mani sulle spalle. Mick fu abbastanza furbo da fare un passo indietro.
    “Allora ci aiuterai?” chiese Claire a Mick.
    Lui si fregò il viso con la mano. “Lascia che compri io la nuova identità. L’uomo che conosco è davvero sospettoso e non accetterà un pagamento da nessuno che non sia io. Mi rimborserai in qualche modo. E dici sul serio? Vuoi dormire in cantina? Voglio dire, ho sei stanze per gli ospiti in questa arca e la casa è vecchia. Non è bello là sotto.”
    “No, al piano di sotto è meglio.”
    “Dovremmo stare in un vero letto,” annunciò Michael. “Staremo al piano di sopra.”
    Claire si guardò alle spalle. “Ma…”
    Michael le strinse la mano con gentilezza. “Non permetterò che tu dorma in alloggi che non si addicono a una signora.”
    “Michael…”
    “Forse vorrà condurci alle nostre stanze, gentile signore?” Okay, chiaramente quando quell’uomo decideva qualcosa, era così e basta.
    Mick aggrottò la fronte. “Ah… sì. Sicuro, amico…”
    All’improvviso Michael si voltò verso una delle finestre. E si mise letteralmente a ringhiare.
    “Rimani all’interno,” le disse. Poi svanì nel nulla.
    Mick gridò una parolaccia ma Claire non aveva tempo per preoccuparsi del suo amico. Corse verso la finestra e vide quando Michael riprese forma da un lato del giardino illuminato dalla luna.
    Il maggiordomo era tornato. Fletcher se ne stava lì in piedi come qualcosa sbucato da un incubo, luminoso come un fantasma anche se la forma era solida.
    Il primo pensiero di Claire fu che Fletcher probabilmente le aveva messo un qualche dispositivo GPS sull’auto. Solo così si spiegava come fosse riuscito a trovarli. Ma poi si rese conto che non era umano. Quindi solo Dio sapeva che cazzo avesse a disposizione.
    “Quello chi è?” chiese Mick alle sue spalle. “O… Cristo, Claire, dovrei chiedere cosa?”
    Ciò che accadde dopo fu orrendo, terribile e l’unica scelta possibile. Michael e il maggiordomo si affrontarono e lottarono fino alla morte. Quella di Fletcher.
    Claire non riusciva a guardare, ma Mick lo fece e lei tenne d’occhio il suo viso mentre assisteva alla carneficina. “Michael è…”
    “Sta…” Mick trasalì. “Sì, non rimarrà un granché da seppellire dell’altro tizio.”
    Claire seppe che era finita quando Mick fece un profondo respiro e si fregò il viso con la mano. “Rimani qui. Vado a vedere come se la passa il tuo… uomo?”
    “Sì.” disse Claire. “È mio.”
    Mick girò l’angolo in direzione dell’ingresso e Claire sentì gli uomini parlare sottovoce dall’altro lato della porta.
    “Claire?” chiamò Michael entrando nella stanza. “Sto bene ma farò meglio ad andare a ripulirmi, vero?”
    Non era una domanda anche se la forma era quella. Claire sapeva che Michael era rimasto fuori perché non voleva che lei lo vedesse, ma chi se ne frega.
    Attraversò la biblioteca e oltre la…
    Okay, c’era tanto sangue. Ma non sembrava essere di Michael perché era sulle sue mani e sulla sua… bocca. Come se avesse morso Fletcher. Diverse volte.
    “Oh, Dio.”
    Ma poi lo guardò negli occhi. Aveva uno sguardo serio e risoluto. Come se avesse fatto ciò che c’era da fare e non ci fosse altro da aggiungere. Ma c’erano anche delle ombre, come se temesse che lei lo considerasse un mostro.
    Claire si riprese e gli andò incontro. “Ti aiuto a lavarti.”
    Dopo aver fatto il bagno, Claire gli procurò qualche vestito. Il che era tutta una comica. Anche se Mick era ben piazzato, l’unica cosa che andasse vagamente bene a Michael erano i pantaloni di un pigiama di flanella e una camicia, ma era tutto piuttosto stretto e rimanevano scoperti un bel pezzo dei polsi e delle caviglie.
    Comunque aveva un bel aspetto con i capelli umidi che si arricciavano sulle punte man mano che asciugavano, il rosso e il nero che prendevano vita.
    Mick li condusse in una camera da letto molto bella che grazie a Dio aveva solo due finestre e tende molto spesse. C’era da sperare che fossero sufficienti a proteggere Michael dal sole.
    Fu Mick a tirare le tende. “Per qualsiasi cosa, sai dove dormo,” disse. Esitò sulla porta, poi se la chiuse alle spalle.
    Claire fece un profondo respiro. “Michael…”
    Lui la interruppe. “Hai detto che puoi fare qualunque cosa anche se sei incinta, esatto?”
    Quando Claire annuì, lui guardò il letto come se s’immaginasse di esserci con lei. “Anche…”
    A Claire venne da sorridere. “Sì, anche quello. Ma prima, dobbiamo parlare…”
    Lui le fu addosso in un batter d’occhio, la spinse contro la porta e la trattenne per la vita con forza.
    “Niente parlare,” disse con voce roca. “Prima, ti devo avere.”
    Poi si attaccò alla sua bocca, la lingua penetrò in profondità e poi ci fu il suono di qualcosa che veniva strappato, la camicia di Claire.
    Oh, Dio, sì… Michael la baciò fino a farle girare la testa e non era a causa della gravidanza, e a un certo punto nel bel mezzo di quella corsa, lui la sollevò e la stese sul letto. Con una coordinazione perfetta, come se avesse pianificato ogni mossa, si tirò giù i pantaloni del pigiama, le sollevò la gonna, le strappò le mutandine con un morso e poi…
    Era dentro di lei.
    Il corpo di Claire si inarcò verso quello di Michael, lo tenne stretto a sé e ansimò. Non era del tutto pronta a riceverlo ma nel momento in cui lui la penetrò, lo raggiunse. Le sue spinte erano forti e vigorose ma anche attente, il letto antico scricchiolò per la forza con cui la faceva sua.
    Quel suo fantastico profumo le invase le narici e lei seppe di cosa si trattava. Era il suo modo di affermare che la possedeva oltre ad amarla. Era qualcosa di diverso da quanto avrebbe fatto un maschio umano e a Claire andava bene così.
    Con il corpo teso e un ruggito che scosse il silenzio della casa, Michael raggiunse l’orgasmo. Rumoroso com’era stato, sicuramente il loro ospite li aveva sentiti quindi fu un bene che Claire non si preoccupasse dell’imbarazzo quando il suo orgasmo le attraversò il corpo.
    Quando fu finita, rimasero uniti, abbracciati, il respiro affannoso per alcuni preziosi momenti.
    E poi lui disse, “Perdonami… amore mio.” Si scostò e le accarezzò una guancia mentre le baciava con dolcezza le labbra. “Temo di essere piuttosto… territoriale quando si tratta di te.”
    Claire rise. “Puoi essere territoriale quanto vuoi. Venendo da te, mi piace.”
    “Claire… che facciamo per il futuro?”
    “Ho pianificato tutto. Sono molto brava con la strategia.” Gli passò le mani tra i lunghi, magnifici capelli, le ciocche rosse e nere si arricciarono intorno al polso e al braccio. “Sistemerò le cose così che tua madre ti lasci tutto quanto.”
    “Come?”
    “Ho riscritto il suo testamento circa ogni quattro mesi quando era viva e lo rifarò un’ultima volta domani mattina, al piano di sotto, nello studio di Mick.”
    Sì, stava violando il codice etico professionale che aveva giurato di osservare quando era diventata avvocato. Sì, poteva perdere la licenza. Sì, stava compromettendo i suoi stessi principi. Ma un grande torto era stato fatto in apparenza senza alcun rimorso e qualche volta per sistemare le cose era necessario sporcarsi le mani. Non erano rimasti altri Leeds, quindi non c’erano eredi che potessero contestare il testamento. E le organizzazioni benefiche non sarebbero state estromesse, per cui rimanevano loro ancora diversi milioni.
    Avrebbe fatto la cosa giusta facendo una cosa sbagliata. E il fatto che Fletcher fosse morto? Rendeva tutto più semplice.
    “Te lo deve,” disse Claire. “Tua madre… deve prendersi cura di suo figlio e io farò in modo che lo faccia.”
    “Sei il mio eroe.” L’amore che brillava negli occhi di Michael era una benedizione come non ne aveva mai viste.
    “E tu sei il mio sole,” gli rispose lei.
    Nel tornare a baciarsi, Claire ebbe la stranissima sensazione che tutto sarebbe finito bene, anche se nulla aveva senso: una donna umana che non aveva mai pensato di sposarsi e mettere su famiglia perché era troppo tosta per quel genere di cose. Un vampiro maschio che era allo stesso tempo influenzabile e fiero e che non era uscito dalla sua prigione per cinquanta anni.
    Ma era tutto perfetto. Erno perfetti l’uno per l’altra.
    Anche se solo Dio poteva sapere cosa il futuro avesse in serbo per loro.

    EPILOGO

    Nove anni dopo…
    “Papà! Sto arrivando!” Claire guardò nel giardino dei Leeds illuminato dalla luna e vide la figlia maggiore, Gabriella, muoversi furtiva. I capelli rossi e neri, lunghi fino alla vita erano un velo nella notte, le gambe snelle erano lunghe per una bambina di otto anni. Si muoveva veloce e in silenzio verso il gruppo di alberi da frutta nel giardino sul retro, correndo sull’erba come faceva il padre, con fluidità e grazia, com’era tipico dei vampiri.
    Michael si materializzò alle spalle della figlia e gridò, “Bu!”
    Gabriella fece un salto di quasi tre metri in aria ma si riprese in fretta, atterrando in piedi e lanciandosi all’inseguimento del padre senza smettere di ridere. Lo atterrò e i due caddero sull’erba, le lucciole erano sospese sui due che si facevano il solletico come se anche loro stessero ridendo.
    “Mamma, ho finito,” disse una voce tranquilla alla sua sinistra.
    Claire allungò una mano e prese la manina di suo figlio tra le sue. “Grazie per aver messo a posto la tua stanza.”
    “Mi spiace per il disordine.”
    Claire prese in braccio Luke. A sei anni, era chiaro che anche lui aveva preso dal padre e non solo l’aspetto. Luke sarebbe cresciuto per diventare ciò che Michael e Gabriella erano già. Aveva un’avversione per il sole; era un animale notturno; e il suo udito e la sua vista erano incredibilmente affinati. Il vero indizio, però, erano i canini da adulto che erano già spuntati. Beh, quello e il fatto che Luke e Michael avevano lo stesso identico odore, di spezie fragranti.
    Claire baciò il figlio in fronte. “Oggi te l’ho detto che ti voglio bene?”
    Luke nascose il viso nella piega del collo di Claire, come faceva d’abitudine. “Sì, mamma. A cena quando l’hai detto anche a papà e a Gabriella.”
    “E anche quando?”
    “A pranzo.” La risata era chiara nella sua voce, ma cercava di nasconderla.
    “E poi?” Claire lo strinse per cercare di farlo ridere.
    Luke si divincolò e si arrese. “A colazione!”
    I due scoppiarono a ridere e Claire abbracciò stretto quel suo figlio timido e gentile mentre Michael e Gabriella tornavano di corsa dal giardino.
    Claire guardò il marito e si sentì avvolgere da un’ondata di rispetto e di amore. Michael era straordinario, così solido e forte con quei suoi modi gentili, e si prendeva cura di lei e dei bambini con tenerezza. Era anche un amante focoso e un protettore feroce, come aveva scoperto un vandalo un paio di mesi prima.
    Lo amava più di quanto lo avesse amato quella mattina ma meno di quanto avrebbe fatto l’indomani.
    “Ciao,” gli disse mentre Gabriella prendeva Luke per mano e lo trascinava a vedere i nuovi germogli di rose tea vicino al gazebo.
    “Amore mio,” mormorò Michael, sedendosi sull’erba accanto a lei e prendendola tra le braccia. “Sei bellissima con questa luce.”
    “Grazie.”
    Claire sorrise pensando che la bellezza dipendeva da Michael. Così come il fatto che sembrasse più giovane adesso di quando l’aveva conosciuto e non solo perché aveva smesso di lavorare in continuazione. Nel corso di qualche incontro un po’ più piccante, i due avevano scoperto che a Michael piaceva che lo si mordesse e che il suo sangue aveva uno strano effetto su di lei. Sembrava aver bloccato il suo processo di invecchiamento, o almeno lo aveva rallentato tanto che Claire non era invecchiata di un giorno negli ultimi nove anni. Anzi era ringiovanita un po’.
    Rimanevano molte domande senza risposta. Michael ancora non aveva idea di chi fosse suo padre o se ci fossero altri vampiri sul pianeta. Entrambi erano preoccupati per il futuro dei loro figli, l’isolamento alla tenuta e il fatto che i bambini avessero bisogno di amici della loro stessa età. E anche la salute era un problema perché come avrebbero potuto portare i bambini da un dottore umano?
    In generale, però, le cose andavano meglio di quanto si sarebbero immaginati. Claire amministrava l’enorme patrimonio dei Leeds. Michael faceva scuola ai bambini. Luke e Gabriella crescevano robusti e in salute.
    Era una bella vita. Una vita strana, ma bella.
    E c’era una novità da condividere.
    “Sei un ottimo padre, lo sai?” disse Claire, accarezzando i capelli del suo uomo.
    Michael la baciò sul collo. “Tu sei una madre fantastica. E una moglie perfetta. E una brillante donna d’affari. Non so come tu riesca a fare tutto.”
    “La gestione del tempo è un’arte.” Claire prese una mano del marito e se la posò sul ventre. “E avrò bisogno di fare qualche altro aggiustamento.”
    Michael si immobilizzò. “Claire?”
    Lei rise. “Ti sei dato da fare parecchio con me il mese scorso e sembra che…”
    Lui l’abbracciò stretta e venne percorso da un tremito. Claire sapeva che c’erano momenti in cui gli tornava in mente il ricordo degli abusi e della prigionia, e sfortunatamente capitava sempre quando riceveva belle notizie. Dopo tutti quegli anni, ancora faticava ad accettare qualunque cosa gli sembrasse frutto di fortuna o miracolo. Lo faceva sentire, le aveva detto, come se stesse correndo il pericolo di svegliarsi per scoprire che quella sua nuova vita non era stata altro che un sogno.
    “Tutto a posto? Ti senti bene?” le chiese, scostandosi un po’ e guardandola attentamente.
    “Bene. Come sempre, sto bene.” Partorire in casa non era una passeggiata ma grazie a Mick, che sembrava conoscere qualcuno che conosceva qualcuno per qualsiasi cosa, avevano trovato un’ostetrica di cui potersi fidare.
    Michael le accarezzò la pancia. “Mi rendi così felice. Così orgoglioso.”
    “Anche tu.”
    La baciò come faceva sempre, trattenendosi prima di venire via. Era buffo come dopo tutto quel tempo passato insieme, ancora odiasse staccare le loro bocche.
    “Se è un maschietto, mi piacerebbe chiamarlo Matthew o Mark,” gli disse.
    “E se è femmina?”
    “Michael può essere usato anche per le femmine,” disse Claire con un sorrisetto. “E ti ho mai detto quanto mi piace quel nome? Michael è un nome fantastico.”
    Il marito di Claire abbassò la testa. Con le labbra che si sfioravano, le disse piano, “Deve essere già saltato fuori una volta. Sì, se ricordo correttamente, quello è il tuo nome preferito.”
    “Il preferito in assoluto.”
    Claire sorrise mentre veniva baciata con passione dal vampiro che amava. Strinse il marito fra le braccia e pensò che sì, avevano proprio bisogno di un altro Michael in famiglia.
     
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    uhhhhhhh interessanteeeee appena avrò tempo lo leggerò.... (chissà quando c'è l'avrò uff uff ma lo leggerò prometto...visto ke dite ke la ward è fantastica :) )
     
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  3. last17
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    Lucry nn sono riuscita a leggerlo perche stamattina non ho tempo.
    Devo chiederti però dove l'hai trovato perchè, se è una traduzione fatta o ricopiata da un utente su un altro forum, credo tu debba mettere la fonte.
    Fammi sapere, un bacio!
     
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  4. …Alexis…
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    Hai ragione Lisa... Scusatemi me ne sono dimenticata XPPP

    Fonte: http://weirde.splinder.com/post/23284473/r...itto-da-jr-ward
     
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  5. …†MoonShadow†…
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    E' una storia bellissima *-*
    Povero Mikel...
     
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  6. Hikaru80
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    Bellissimo!!!! Dove lo hai trovato? :2lc1fs6.gif: :2lc1fs6.gif:
     
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    CITAZIONE (last17 @ 27/9/2010, 10:16)
    Lucry nn sono riuscita a leggerlo perche stamattina non ho tempo.
    Devo chiederti però dove l'hai trovato perchè, se è una traduzione fatta o ricopiata da un utente su un altro forum, credo tu debba mettere la fonte.
    Fammi sapere, un bacio!

    OTTIMA PRECISAZIONE MOGLIE MIA :)
     
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  8. …Alexis…
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    guardate che io l'ho rimessa la fonte... è sotto il commento di Lisa
     
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  9. ~•~Khloe~•~
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    Bellissimo *_*
     
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  10. **Miss_Tegan**
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    questa storia la potete trovare nella guida che uscirà per giugno in edizione Mondolibri almeno questo secondo le fonti di facebook
     
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9 replies since 26/9/2010, 12:37   2532 views
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