**Grazie Dei Ricordi

Di Cecelia Ahern

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  1. …Alexis…
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    Grazie Dei Ricordi
    Cecelia Ahern





    "Voglio continuare a precipitare, ma mio padre sta chiamando l’ambulanza e mi stringe la mano con una tale intensità come se fosse lui che si sta aggrappando alla vita. Come se fossi tutto quello che ha. Mi sposta i capelli dalla fronte e piange forte. Non l’ho mai sentito piangere. Nemmeno quando è morta la mamma."

    "La vita è fatta di incontri e di separazioni. Le persone entrano nella tua vita tutti i giorni, tu gli dici buongiorno e buonasera, alcune restano qualche minuto, alcune per qualche mese, qualcuna per un anno, altre per sempre. A prescindere dalla persona, ci si incontra e ci si separa."

    Dopo il grande successo cinematografico del film P.S. I love you, tratto da uno dei suoi libri di maggior successo, finalmente in Italia il nuovo atteso libro di Cecilia Ahern:
    una toccante e intensa storia d’amore e di sentimenti autentici, scritta con la freschezza e quel pizzico di magia peculiari allo stile che ha fatto della Ahern un’autrice bestseller a livello internazionale.

    Due destini uniti da un tragico evento. La nascita di un grande amore.
    Joyce e Conor sono una giovane coppia di Dublino. Il loro rapporto è in crisi, ma inaspettata giunge la notizia di un figlio in arrivo. Una forte emorragia pone fine alla gioia e minaccia la stessa vita di Joyce, salvata da una trasfusione di sangue. Il fragile equilibrio di quel matrimonio si spezza e i due si separano. Nel frattempo, qualcosa di strano comincia ad accadere a Joyce: le appaiono visioni di un passato che non le appartiene, pronuncia parole in lingue che non conosce; ha l’impressione, insomma, di vivere la vita di qualcun altro. L’estraneo che le ha donato il sangue le ha trasmesso anche i propri ricordi, le emozioni, le esperienze. Justin è un professore americano, studioso di arte e del Rinascimento italiano. È divorziato e ha una figlia, Bea, che vive con la madre a Dublino. Un giorno si è fatto convincere da una collega a dare il suo contributo alla giornata del donatore di sangue, e dopo qualche tempo ha cominciato a ricevere bigliettini, fiori, dolci: c’è qualcuno che vuole dirgli grazie…

    Cecelia Ahern è figlia del premier irlandese. Laureata in giornalismo e comunicazione, si è dedicata a tempo pieno alla scrittura dopo lo straordinario successo a soli 21 anni di P.S.I love you (2004), tra i libri più venduti in tutti i 50 Paesi in cui è stato pubblicato.

    Anche i successivi Scrivimi ancora (2005), Se tu mi vedessi ora (2006) e Un posto chiamato Qui (2007) sono bestseller mondiali.
    In Italia sono tutti pubblicati da Sonzogno.

    Altra trama:

    Joyce è una giovane donna irlandese vittima di un banale quanto grave incidente: una trasfusione di sangue le ha salvato la vita, ma non ha impedito la perdita del bambino che portava in grembo. Un trauma, quello subito, che la porta a rompere definitivamente un rapporto matrimoniale ormai logoro e a trasferirsi nella casa della sua infanzia, dove ritrova un padre affettuoso e tantissimi ricordi. A partire da questo momento, però, le succedono cose davvero strane: ha memoria di fatti che non appartengono al suo passato, ha sogni ricorrenti, scopre di saper parlare lingue straniere, di conoscere il latino e di essere un’esperta in materia di storia dell’arte. Anche la vita di Justin, un professore statunitense trasferitosi a Londra per stare vicino alla figlia, subisce qualche cambiamento a partire dal momento in cui è stato convinto a donare il proprio sangue: non solo gli capita sempre più spesso di incontrare una donna che sembra avere con lui uno strano legame, ma comincia a ricevere piccoli doni anonimi con semplici messaggi di ringraziamento. Il rapporto con la trasfusione appare subito evidente, ma risalire alla persona che ha ricevuto il suo sangue rimane impossibile.

    I due diventano allora protagonisti di uno strano quanto divertente gioco del destino e degli equivoci che li porta a rincorrersi e sfiorarsi tra la folla, cercarsi e riconoscersi senza però potersi mai incontrare e, tanto meno, chiarire. Questo, almeno, fino al finale, quando l’ennesimo colpo di scena permetterà a Joyce e a Justin di comprendere che non sempre bisogna aver paura di ciò che sembra inspiegabile e che spesso è bene lasciarsi guidare dai sentimenti .

    Le prime pagine:

    Chiudi gli occhi e fissa il vuoto.
    Il consiglio di mio padre quando non riuscivo a dormire da piccola. Ora non vorrebbe che lo facessi, ma ho deciso di provarci lo stesso. Fisso quell’incommensurabile oscurità che si estende ben oltre le mie palpebre chiuse. Benché sia sdraiata a terra immobile ho la sensazione di essere appollaiata su un punto altissimo, mentre afferro una stella nel cielo notturno con le gambe che penzolano sopra un freddo e nero nulla. Do un ultimo sguardo alle mie dita strette attorno alla luce e poi lascio andare. Vado giù, precipito, fluttuo e di nuovo precipito, aspettando di atterrare nella terra promessa.

    Come quando ero una bambina che lottava contro il sonno, anche adesso so che dietro la sottile barriera delle mie palpebre abbassate ci sono i colori. Mi deridono, mi sfidano ad aprire gli occhi e perdere il sonno. Bagliori di rosso e ambra, giallo e bianco punteggiano l’oscurità. Mi rifiuto di aprirli. Mi ribello e strizzo le palpebre più forte per bloccare i granelli di luce, semplici distrazioni che ci tengono svegli, ma anche il segno che oltre c’è vita.

    In me però non c’è vita. Non ne sento alcuna dal punto in cui sono sdraiata, in fondo alla rampa di scale. Ora il mio cuore batte più forte, l’unico combattente rimasto in piedi sul ring, un guantone che pompa vittoriosamente in aria rifiutando di arrendersi. È l’unica parte di me a cui importi qualche cosa, l’unica a cui sia mai importato. Lotta per spingere il sangue in circolo nel tentativo di curarmi, di rimpiazzare quello che sto perdendo, che però abbandona il mio corpo con la stessa velocità con cui viene immesso, formando un profondo oceano nero attorno a me proprio dove sono caduta.
    Corre via, via, via. Siamo sempre di corsa. Il tempo non ci basta mai qui, ci affanniamo continuamente per arrivare là. Saremmo dovuti andare via di qui cinque minuti fa, dovremmo essere là già adesso. Il telefono squilla di nuovo e ne riconosco l’ironia. Avrei potuto prendermi il tempo che serviva e rispondere adesso.
    Adesso, non allora.

    Avrei potuto prendermi tutto il tempo del mondo su ognuno di quei gradini. E invece siamo sempre di corsa. Ciascuno di noi, tranne il mio cuore. Che ora rallenta. Non me ne importa poi molto. Mi metto una mano sulla pancia. Se il mio bambino se n’è andato, come immagino, lo raggiungerò là. Là… dove? Ovunque sia. Il feto, una parola senza cuore. Così piccolo che ancora non si sapeva se sarebbe diventato un maschio o una femmina. Ma là mi prenderò cura di lui come avrei fatto qui.
    Là, non qui.
    Gli dirò: “Mi dispiace, tesoro, mi dispiace di aver rovinato la tua opportunità e anche la mia, insomma la nostra opportunità di una vita insieme. Ma ora chiudi gli occhi e fissa l’oscurità, come sta facendo la mamma, e insieme troveremo la strada.

    C’è un rumore nella stanza. Avverto una presenza.
    “Oddio, Joyce, oddio. Mi senti, tesoro? Oddio. Oddio. Oh, per favore, no, buon Dio, non la mia Joyce, non ti prendere la mia Joyce. Resisti, tesoro, sono qui. Papà è qui.
    Non mi va di resistere e vorrei dirglielo. Mi sento gemere e guaire come un animale e la cosa mi sconvolge, mi spaventa. Ho un piano, voglio dirglielo. Voglio andarmene perché solo allora potrò stare con il mio bambino.
    Allora, non adesso.

    Papà ha arrestato la mia caduta, ma ancora non sono atterrata. Mi aiuta a tenermi in equilibrio nel nulla, a indugiare mentre vengo spinta a prendere una decisione.
    Voglio continuare a precipitare, ma mio padre sta chiamando l’ambulanza e mi stringe la mano con una tale intensità come se fosse lui che si sta aggrappando alla vita. Come se fossi tutto quello che ha. Mi sposta i capelli dalla fronte e piange forte. Non l’ho mai sentito piangere. Nemmeno quando è morta la mamma. Mi afferra la mano con un’energia che credevo possibile in quel suo vecchio corpo, e a quel punto ricordo che sono davvero tutto quello che ha e che lui, ancora una volta proprio come allora, è tutto il mio mondo. Il sangue continua a scorrere dentro di me. Corre via, via, via. Siamo sempre di corsa. Forse sto correndo anche adesso. Forse non è la mia ora.
    Sento le sue vecchie mani dalla pelle ruvida stringere la mia, la loro forza e familiarità mi costringono ad aprire gli occhi che vengono invasi dalla luce e poi mettono a fuoco il suo viso. Ha un’espressione che non voglio rivedere mai più. Si aggrappa alla sua bambina, mentre io so di aver perso il mio. Non posso permettere che anche lui perda la sua. Nel prendere la decisione, comincio già a soffrire. Adesso sono atterrata nella terra promessa. E il mio cuore continua a pompare.
    Anche se spezzato, funziona ancora.

    Intervista alla scrittrice:
    Il suo ultimo romanzo è dedicato ai nonni: c’è qualche elemento autobiografico?
    No, non ci sono elementi autobiografici. È semplicemente un modo per celebrare il ricordo delle persone che ci sono vicine, per ringraziarle, perché sono importanti nella nostra vita e perché ci hanno aiutati a diventare ciò che siamo. Quindi mi sembrava giusto dire a queste persone “Grazie per i ricordi” che ci hanno offerto. Mi sembrava una cosa buona dedicare il romanzo ai miei nonni, che purtroppo ora non sono più con me, e mi sembrava anche un ottimo titolo per il romanzo.

    Vorrei che approfondisse il rapporto fra la protagonista e il padre che sembra prendere il posto del bambino perso.
    Quando Joyce perde sia il bambino, sia il marito, ecco, la sua vita è a pezzi, è finita. Invece di stare con i propri amici, di gettarsi in una nuova esistenza, quello che fa è quasi chiudersi in un bozzolo, tornare in una situazione un po’ ovattata e, quindi, rafforzare il legame con il padre. In fondo per lei è un modo di sfuggire alla realtà, perché Joyce ha sicuramente dei ricordi molto forti legati al padre. Si ricorda perfettamente chi è stato per lei e quanto fosse importante nella sua vita. È un po’ come se ora si prendesse cura di lui, come se avesse di nuovo qualcuno da proteggere e da assistere. In realtà, la situazione è esattamente l’opposto: è il padre che si prende cura di lei; è il padre l’accompagna, anche con i suoi ricordi, in questo nuovo percorso di vita e che l’aiuta a ritrovare nuovamente se stessa, in modo da poter essere una guida, proprio come in passato.

    È stato detto che il segreto dei suoi romanzi è il “romanticismo magico”: è d’accordo con questa definizione?
    Sì, sicuramente c’è un elemento di magia nei miei romanzi. All’inizio, la critica li ha paragonati alle favole e devo dire che questo non mi piaceva molto, perché se si pensa alle favole, si pensa ad una storia che ha sempre un lieto fine, del tipo “…e vissero felici e contenti”. In genere c’è sempre un uomo che arriva a salvare la donzella, che l’aiuta e che risolve la situazione. Per me non è così. Il tocco moderno che io do ai miei romanzi è costituito dal fatto che ci sono sì delle donne, all’inizio, in una situazione di difficoltà, ma le protagoniste devono trovare un modo per uscirne fuori da sole: sono loro stesse la via per la loro salvezza. Sono donne che si aiutano da sé e lo fanno soprattutto instaurando delle relazioni, e quindi non attraverso un uomo che le salva, ma attraverso legami familiari e di amicizia. Per questo, alla fine, c'è sempre un elemento di speranza nei miei romanzi che porta le donne a trovare la propria strada. Penso sia un po' questo l'elemento magico delle mie storie. Ci sono relazioni, che noi abbiamo gli uni con gli altri, che sono di tipo diverso, ma che ci legano agli altri in modo indissolubile. Per esempio, l'idea della trasfusione di sangue all'inizio può non sembrare molto romantica, però se pensiamo che si tratta di qualcosa che si dà con il cuore e che salva la vita di un'altra persona, ecco questo fa sì che il mio ultimo romanzo, Grazie dei ricordi, sia una bellissima storia d'amore con un tocco di magia. E vorrei aggiungere anche che, sicuramente, le situazioni descritte sono un poco uniche, un poco magiche, ma sono anche profondamente radicate nella realtà, in cui tutti possiamo trovarci. I miei personaggi, tutto sommato, sono persone normali che si trovano in situazioni estreme o straordinarie. Sono persone in cui tutti possiamo identificarci e sono persone che stanno compiendo un viaggio – la propria esistenza. Vivono emozioni, proprio come ciascuno di noi, nonostante, appunto, le situazioni inusuali in cui si trovano. In sintesi, quello che voglio dire è che, benché il contesto in cui sono collocati i miei personaggi sia inusuale, talvolta straordinario, i problemi sono quelli di tutti: è molto importante per me che, nonostante la presenza di questo elemento di magia, i miei romanzi siano sempre basati sulla realtà.

    Amore e magia: la storia ci insegna che in passato sono stati molto legati. Ma come si spiega che l'amore, oggi, abbia bisogno della magia?
    In realtà non penso che l'amore abbia bisogno della magia. Vorrei dire piuttosto, a costo di sembrare sdolcinata, che sono convinta che l'amore è magia. Perché quando si è veramente innamorati di una persona, è come essere trasportati in un altro mondo. E poi la vera storia d' amore crea delle relazioni così strette che sembrano davvero provenire da un “altrove” e sono relazioni particolari, quasi magiche, che non possono essere ricreate con nessun altro, nemmeno con gli amici. Quindi non è l'amore che ha bisogno della magia, ma è l'amore che crea magia. Ecco, questo è quello che io penso.


    Fonte: http://www.wuz.it/recensione-libro/2408/gr...elia-ahern.html // http://university.it/notizie/vedi_notizia....D_NOTIZIA=32856 // http://www.wuz.it/intervista-libro/2406/ah...ei-ricordi.html
     
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  2. patusha93
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    Letto!!!!..Mi è piaciuto molto, come d'altronde tutti i romanzi di Cecelia Ahern!!..adoro questa scrittrice!!!..:wub:
    Quello che ho preferito però è "Scrivimi ancora"..^_^
     
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1 replies since 8/10/2010, 21:57   239 views
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