FABBRICA ABBANDONATA

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    CONTINUA DA: LUOGHI DI FESTA - INCONTRI - NIGHT CAFE'

    Tirai un sospiro di sollievo una volta entrata in auto, il piano era riuscito non mi restava altro da fare che attirare il mio adorato fratellino nella trappola. Chiesi al mio servo umano di portarmi in un luogo sicuro e abbandonato e in risposta mi aveva detto che in città c'era una vecchia fabbrica in disuso. Scenario perfetto per portare a compimento il rituale che doveva essere eseguito in tempo affinchè la profezia si avverasse.

    Sudavo freddo. Maledicevo mio padre e il Signore degli Inferi per usarmi per un compito tanto infimo, non avrei mai voluto tutto questo. Io volevo solo essere lasciata in pace e vivere la mia vita di immortale ma.. . io e Alessandro, questo era il suo vero nome quello scelto da nostro padre, eravamo stati creati solo per uno scopo: Donare a Lucifero l'arma che gli avrebbe assicurato la vittoria nella sua guerra contro i ribelli.

    Leonardo fermò l'auto, scesi e mi ritrovai ad affondare i piedi nel fango. Un imponente struttura caduta in rovina rovinava l'elegante viale in cui era situata, guardarla nella sua decadenza e ridotta ad un cumulo di macerie era come ricevere un pugno nello stomaco in una cittadina perfetta come Littoria. La ex fabbrica era una mela marcia in un cesto pieno di mele rosse tutte perfettamente tirate a lucido.

    < Porta il prigioniero dentro la pancia del mostro di cemento. > ordinai al servo indicando con la mano la vecchia fabbrica.

    Mi feci strada ed entrai arrancando su pietre e massi di ogni dimensione. L'interno facevo ancora più schifo della facciata esterna. Fango, pozze d'acqua impantanata creavano tanti laghetti dove galleggiava qualsiasi tipo di merda. La luce era debole, riuscivo a stento ad orientarmi in quella trappola mortale.

    "Fanculo a tutto questo casino in cui mi hanno cacciata. Odio la sporcizia. "

    Dopo svariati corridoi sbarrati o ambienti completamente collassati, trovai un ampio spazio dove appostarmi... dietro di me Leonardo mi seguiva trasportando il Senatore ancora incosciente.

    < Questo posto è perfetto. Leo legalo a quella colonna in fondo.. usa quelle vecchie catene arrugginite. >

    "Tanto non riuscirà ad evadere. "

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    Una volta che Flavio fu legato mi guardai intorno. Vi era un aggancio per l'acqua e un tubo di plastica come prolunga.. lo presi e girai la levetta, c'era ancora acqua in questa catapecchia. Mirai il Senatore colpendo con il getto d'acqua. Dormiva come un sasso con la testa penzoloni con il mento a toccargli il petto.

    < SVEGLIA!! NON SEI IN LETARGO. >

    Mi avvicinai non poteva muoversi, il veleno di Medusa in circolo nel sangue, aveva pietrificato muscoli e legamenti. Lo afferrai per i capelli e gli alzai la testa.

    < Non continuare con questa farsa, sei sveglio ormai. >

    Il bastardo mi sputò dritto in faccia.

    < Fottiti stronza. Puoi torturarmi, uccidermi. Non ti darò alcuna soddisfazione quando lo farai. >

    Gli presi il mento in modo tale che potesse guardami negli occhi.

    < Tesoro non devo torturarti, farai solamente da esca per Alessandro. E' lui che voglio. >

    I suoi occhi erano in fiamme, mai aveva provato quella condizione di impotenza nella sua lunga vita.

    < Illusa. Non cadrà mai in una stupida trappola. Alessandro è troppo sveglio. >

    Risi nel cercare la maschera cerimoniale romana nella borsa. La presi e lo vidi impallidire quando gliela misi sul viso.

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    < Che c'è Flavio, i ricordi ti assalgono? >

    Continuai a ridere, non potevo negare che torturarlo mi faceva godere.

    < Cosa significano queste maschere dell'impero romano per te e mio fratello? >

    Le avevo recuperate nella dimora di mio fratello a Parigi durante la mia ultima visita oltre tre secoli addietro. Le avevo rubate e conservate, chi l'avrebbe mai detto che mi sarebbero servite a questo.

    < VAFFANCULO SCHIFOSA BALDRACCA >

    Afferrai il pugnale che avevo portato con me e lo affondai nel suo stomaco. Solo un respiro spezzato a metà mi fece sentire.

    < Non si offende mai una donna, ricordalo. >

    Girai il polso in modo tale che la lama squarciasse l'interno delle sue viscere.

    < Stai perdendo tempo, non verrà. >

    Sfilai la lama e lo pugnalai più volte al petto, mancando però il cuore, dovevo tenerlo in vita.

    < Pregate Senatore. Pregate il suo arrivo. Pregate che avete significato qualcosa per mio fratello. >

    La maschera copriva i lineamenti del suo viso, ma bastarono i suoni e i gorgoglii che provenivano dalla sua gola per farmi capire quanto dolore provasse.

    < Mi servite vivo. Lui dovrà trovarti vivo. >

    Il sangue scese a rigare la maschera dagli occhi.. dalla bocca. Gliela tolsi portando alla luce un viso sanguinolento e sofferente.

    < Tieni a mente tu una cosa. > sputò sangue dalla bocca per continuare a parlare.

    < Semmai uscirò vivo da questo posto, rimpiangerai amaramente questo affronto. >

    Rise nonostante fosse allo stremo delle forze.

    < Ti ucciderò Lyliane Spada, morirai di una morte lenta e atroce. >

    Mi venne la pelle d'oca, sentirlo minacciami con tutto che fosse lui nella posizione di svantaggio. Dovevo farlo fuori una volta che tutto fosse finito non potevo rischiare di lasciare vivere un nemico come Flavio.

    < Le ferite inflitte oggi non saranno nulla in confronto a ciò che i tuoi occhi vedranno domani. Ricorda tu questo, desidererai cavarti gli occhi, smettere di sentire.. . ma non potrai farlo. >

    Recuperai le mie cose. Lanciai un incantesimo alla stanza in modo tale da impedire a chiunque di varcare la soglia.

    < TIC- TAC-TIC -TAC .. il conto alla rovescia è appena iniziato Senatore. >

    Uscii dalla fabbrica ed entrai in auto seguita da Leonardo.

    < Allora avvocato, hai trovato la sua casa? >

    < Si mia Signora e Padrona. >

    Mi poggiai con la schiena sul sedile, sulle gambe reggevo il dono per mio fratello.

    < Bene conducimi nella sua dimora. >

    Ci mettemmo in viaggio.. lasciando Flavio al suo triste destino in quel luogo desolato.

    CONTINUA IN: LUOGHI CITTADINI - VIALE - DIMORA SPADA
     
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    CONTINUA DA: LUOGHI CITTADINI - VIALE - DIMORA SPADA.

    Impiegai un quarto d'ora di cammino, lungo il viale residenziale , prima di riuscire ad individuare l'ex fabbrica di tabacco. Un mostro di cemento armato e ferro arrugginito con prepotenza si ergeva in uno dei quartieri più esclusivi della città. Era un vero e proprio cancro edilizio. L'entrata per lo scarico e carico merci era transennata da sbarre di ferro, dove la polizia locale aveva posto i sigilli di sequestro della struttura. Non mi sarei meravigliato se la mega fabbrica fosse diventata lo spaccio di merce di contrabbando o un laboratorio di droghe pensati. Meritava un sopralluogo, non avrei permesso a nessun clan mafioso di mettere le mani sull'impero della droga, delle armi, del gioco d'azzardo e della prostituzione. Fanculo, era il mio mondo! Li avrei fatti fuori uno ad uno quei luridi porci. Mi feci strada su un terreno accidentato per raggiungere l'entrata, il grosso spiazzale era diventato una discarica di ferri vecchi e pezzi di muri collassati. Un essere umano avrebbe fatto fatica a spostarsi in quella semioscurità ma, io non ero tra quelli. Agilmente avanzavo senza produrre alcun rumore, quasi sfioravo il pavimento con i miei passi. Il tanfo insopportabile di muffa e grasso pizzicava il naso e la gola, ero più seccato di dover macchiare il mio abito in quella fogna che di subire un agguato. Ma conoscendo la troia di mia sorella, non avrebbe cercato di farmi fuori a bruciapelo, lei amava giocare al gatto col topo.

    Proseguii inoltrandomi nei corridoi, percepivo magia nera nell’aria ed una inquietante sensazione che qualcuno mi stesse osservando. Raggiunsi la prima rampa di scale, quattro piani più su e fui inghiottito dalle tenebre. Al centro dell’immensa sala, grossa quanto il piano , vi era incatenato ad un colonna portante Flavio e poco più avanti sul pavimento vi era tracciato con del sangue un pentacolo, dove alle estremità di ogni punta vi era accesa una candela.

    “Un rituale.” Una linea dura si disegnò sulle labbra.

    << Benvenuto Alessandro. >> una calda voce femminile fece eco tra le pareti spoglie.

    Uscii dalla penombra, feci alcuni passi in avanti, accompagnato dal suono che le scarpe produssero sul pavimento di marmo grezzo.

    << Liberalo. Subito. >> le due parole graffiarono l’aria, risuonarono aspre e dure sul bel volto di mia sorella Lyliane.

    << A tempo debito, sarà tuo. >> si avvicinò, i lunghi capelli serici, oscuri come un cielo senza stelle, danzarono lungo i fianchi seguendo l’andamento sinuoso e femminile di un portamento creato e studiato per rendere un uomo schiavo di quel corpo.

    << Cosa vuoi in cambio? >> eravamo ad un passo l’uno dall’altra. Il suo detestabile odore, infiammarono le mie narici.. eguale reazione la ebbe mia sorella. Il nostro era un odio ed un rancore venuto alla luce dalla mia nascita e mai si era dissipato in più di duemila anni.

    << Te. Voglio, te. >>

    Quella dichiarazione aveva il sapore della rabbia e della frustrazione. I miei lineamenti restarono immutati, non vi era meraviglia o sconcerto. Stupida e .. pazza, a credere che potessi rinunciare alla mia vita per…

    “Flavio” Il compagno di una vita. Colui che mi aveva privato di quella scomoda umanità.

    << N-n … on... ac-ce… ac-cetta-re. .. Ales-s. .. andro. >>

    Mi voltai a guardarlo, un immortale di quel calibro messo in ginocchio, legato come un salame con delle catene che avrebbe potuto distruggere in mille pezzi come respirare era facile per un umano. Stentavo a crederci, nonostante lo vedessi con i miei occhi. Immobile, febbricitante cercava di restare lucido poiché alcuna forza gli era rimasta per ribellarsi a quell’umiliante prigionia.

    << TACI CAROGNA! >> , Lyliane in un battito di ciglia gli fu addosso, la punta affilata di un pugnale puntava alla gola.

    << Dentro il pentacolo, subito. Se non vuoi che questa lama gli scavi il petto. >> ringhiò nella mia direzione.

    Con tutta calma la guardai, in certe situazioni delicate bisognava usare i guanti bianchi, specie se non eri nella posizione tale ad essere colui che dettava le regole del gioco.

    << Cosa gli hai dato per metterlo al tappeto? >> vidi come la mano destra tremava facendo vibrare la lama d’acciaio del pugnale. Sudava, la stronza, non era del tutto sicura di avermi in pugno.

    … ma dovevo farla parlare. Io dovevo sapere.

    << Il veleno di Medusa. >> un ghigno perfido prese forma su quelle labbra di pesca, consapevole che esisteva solo un antidoto capace di annientare la terribile avanzata della pietrificazione alle membra, alle ossa, agli organi.

    “Sangue di drago.”

    Possedevo solo una dose, l’ultima, e non era sufficiente. Quelle creature si erano ormai estinte da più di mille anni.

    << Muoviti o dici addio al tuo témoin. >>

    Strinsi i pugni, non ero mai stato comandato da nessuno. La volevo morta. Questa stessa notte.

    Feci come chiedeva, entrai nel pentacolo disegnato a terra e riconobbi i simboli tracciati con il sangue. Era un rituale di privazione, al cui interno della stella a cinque punte i miei poteri sarebbero stati assorbiti dalla magia nera. Sarei stato completamente vulnerabile.

    << Mi temi. Tu hai paura, Lyliane. Tremi. >> un sorriso appagato incurvò le mie labbra.

    Alzai le braccia in segno di sfida.

    << Ora sono inoffensivo e la magia mi tiene prigioniero. Vieni a prendermi, puttana. >>

    La rabbia le infuocò il viso, conficcò il pugnale nella colonna di cemento armato, ad un soffio dalla testa di Flavio.

    << Digli perché non l’hai cercato. DIGLIELO, MALEDETTO! > urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, i muscoli delle spalle strette, contratti.

    Ero come un vulcano che attende quegli ultimi minuti prima dell’esplosione. Il sangue prese a pomparmi nelle vene, le punte acuminate dei canini affondarono con prepotenza nella carne delicata del labbro inferiore. Desideravo farla a pezzi. Ora. Subito. Dilaniare con ferocia quella bastarda di una cagna.

    << Farnetichi. Che cazzo vuoi che gli dica. >> sibilai seccato per la brutta piega che stava prendendo quella inutile conversazione.

    Gli occhi verde smeraldo di Flavio incontrarono i miei, erano trascorsi quasi ottant’anni dall’ultima volta. Da quella notte. Quante domande inespresse vi leggevo all’interno, cazzo.

    << Ho avuto da fare. >> sentenziai.

    << Menti. Non ha le palle di dirti la verità, Flavio. >> , lo afferrò per i capelli, lo costrinse ad esporre la gola… la lama tagliò orizzontalmente la pelle tesa del collo. Da una linea rossa sgorgò sangue scarlatto.

    << Per – ché… ? >> sentii sussurrare dalle labbra del mio témoin.

    Lo stomaco si serrò in una morsa. Lei non poteva sapere. Nessuno poteva saperlo.

    << Non ti avrei cercato. Ti ho detto addio quella notte, la notte dell’ultimo ballo in maschera. >>

    << Perché, Alessandro? >> , mia sorella mi trafisse con quegli occhi neri e cupi.

    Feci un grosso respiro. I ricordi preso possesso della mia mente. La mia schiena nuda sull’erba umida della rugiada del mattino, dopo una frenetica corsa a cavallo per raggiungerlo prima che fosse troppo tardi. Quella notte. Litigammo come mai accaduto prima. Flavio e la sua folle gelosia per gli amanti che accoglievo nel mio letto. Mai avevo sfiorato la sua pelle dorata, mai. Poi conobbi com’era sentire la forza dei muscoli di Flavio a contatto con le mie dita. Le nostre bocche unite, si divoravano in preda di un bisogno tenuto a freno troppo a lungo. Io dentro di lui prendevo possesso con una tale rabbia che consumava quel corpo che era mio di diritto. Io stesso avrei dovuto appartenergli perché era giusto, per un bisogno che non potevamo controllare… perché era quello che avrei desiderato, che avrei voluto.

    << Allontana quella fottuta lama dalla sua gola e confesserò. >>, le vene del collo pulsavano frenetiche in preda ad una furia cieca. Mi aveva messo con le spalle al muro e non avevo alcuna alternativa , se non quella di tirare fuori tutto.

    << … perché ti ho amato. Ti amavo, non come si ama l’amante di una notte. Ti avrei amato come … unico compagno di vita. >>

    La vittoria illuminava di una luce sinistra gli occhi di mia sorella, ma in quel momento non me ne importai. I miei erano fissi in quelli di Flavio, lucidi e sofferenti.

    << Mi … hai. Sempre respinto. Passavi le notti con tanti di quegli uomini e quelle donne, ma solo… e sempre io ero escluso dalle tue attenzioni. Perché hai distrutto ciò che avremmo potuto essere insieme, Alessandro? Perché, cazzo? >> ora le lacrime rigavano i suoi zigomi pronunciati… era la prima volta in duemila anni che le vedevo.

    Abbassai la testa. Non amavo espormi in quel modo… mettermi a nudo completamente dinanzi a chicchessia.

    << Sei stato tu ad insegnarmelo. L’amore rende un uomo vulnerabile e non potevo permettermelo. Sii capace di rinunciare ad un tuo più grande desiderio e niente e nessuno sarà in grado di farti paura. Ed io ho rinunciato a te .. a noi, Flavio. Perché non volevo avere più paura nella mia vita. >>

    Lo vidi stringere gli occhi, ora evitava di guardami in faccia.

    << Potevamo avere una seconda possibilità in questa vita. >> quelle parole bruciavano di rabbia, erano come lame affilate conficcate nella carne.

    << Non ci sono possibilità. Non ci sono mai state. >> era la più cruda verità, non avevo alcuna intenzione di cedere all’amore né in questa nuova vita e né in nessun’altra.

    << Siamo anime dannate destinate ad un cammino di solitudine. E’ questo il potere, Flavio. E’ questa l’altra faccia della medaglia. >>

    Il dolore del suo sangue avvelenato non era niente in confronto alla stilettata al cuore che ancora una volta gli avevo conficcato nel petto. Avevo distrutto la sua ultima speranza, quella di avermi completamente e totalmente. Il nostro era stato un amore rincorso per duemila anni. Mai consumato. Mai vissuto.

    << Che tu sia maledetta, Lyliane. >> alcune verità dovevano essere custodite come segreti impronunciabili, e lei aveva voluto infliggere un’ultima coltellata ai desideri di due uomini che avevano trascorso una vita a cercarsi e a respingersi.

    Lyliane si voltò, una ruga profonda solcava la fronte di netto.

    << Spogliati, Alessandro. Completamente. >>

    Per la prima volta da quando ero giunto in fabbrica, impallidii.

    << Scortatelo. >>

    Sciolse la cintura del trench nero. Lo aprì. Era completamente nuda.

    << Che cazzo vuoi fare? Chi cazzo ti ha mandata da me? >>, indietreggiai, ma la mia schiena cozzò contro un muro invisibile delimitato dal sangue del pentacolo.

    << Siamo pedine. Tutti e due. Questa è la volontà di Lucifero. >>

    Dovevo scopare con mia sorella? Con quella troia maledetta?

    La bile mi salì in gola. Era la cosa più ripugnante che avessi mai potuto fare del mio corpo e della mia persona.

    << NO. Che si fotta l’inferno. I demoni ed il coglione che li comanda. >>

    Entrò all’interno della stella a cinque punte.

    << Spogliati cazzo! Non abbiamo alcuna scelta, non ho intenzione di morire a causa tua! >>

    Ringhiai con una tale ferocia che gli ultimi vetri rimasti esplosero in mille pezzi.

    << Mi fai schifo. >>

    Si scagliò addosso, lei era immune alla magia che aveva evocato e quindi riuscì a trascinarmi a terra.

    << Scopami… e dammi un figlio. Non te lo chiederò un’altra volta. Scopami o lui muore. Fallo maledizione! >>

    Flavio ringhiò. << Non farlo. Uccidimi, maledetta troia. >>

    Una risata folle, isterica scosse interamente le mie membra. L’afferrai per il collo, la catapultai schiena a terra invertendo i ruoli.

    << Non l’hai capito Lyliane. Siamo già morti. Tutti e due. Cosa credi che faranno una volta che darai alla luce quell’abominio? >>

    Mi schiaffeggiò. << Hanno promesso. Mi lasceranno tornare dalla mia compagna. >>

    L’azzannai alla gola. I canini affondarono nella carne con una brutalità inaudita da far urlare la cagna imprigionata sotto al peso del mio corpo.

    Non potevo permettere che uccidessero Flavio, non quando potevo evitarlo.

    Mi sfilò la giacca, squarciò la camicia facendo schizzare un bottone dopo l’altro.

    << Prendimi o non sei più capace di fottere una donna? >> inveì con rabbia.

    Il fuoco esplose dal contatto dei nostri corpi nudi. L’unione tra incubo e succube andava al di là di qualsiasi tipo di legame. Era puro sesso in tutta la sua forza più brutale. Cercai di tenere a freno gli impulsi sessuali destati dalla mia natura demoniaca. Fanculo, avrei preferito la castrazione piuttosto che unirmi in un rapporto carnale con mia sorella.

    “ Respira, cazzo. Non cedere. Non cedere. Non cedere. Respira. “

    << Antonio ti ha privato della virilità. Sei un fottuto incubo impotente. >>

    La guardai negli occhi. Due pozze d’odio divennero i miei. Antonio era stato il mio patrigno, colui che aveva ripetutamente umiliato il mio corpo quando era ancora immaturo. Ancora oggi, non appena chiudevo gli occhi, potevo sentirlo alle mie spalle e con una verga colpirmi la schiena, fino a quando i lividi lasciavano il posto alla carne viva e sanguinolenta… ed il suo lurido cazzo che avrebbe voluto sottomettermi al suo status di pater familias violare il corpo di un fanciullo. I polsi segnati da corde che mi avevano scavato la carne e la schiena avrebbero portato per l’eternità i segni di quella violenza. Non sono mai riuscito ad andare avanti a lasciarmi il passato alle spalle.

    << Farai la sua stessa fine, troia. >> ringhiai a zanne snudate ad un soffio dalla sua faccia.

    Le sue mani scivolarono lungo il petto… sentivo la pelle squarciarsi in risposta a quelle infami carezze, si fermarono sul bordo dei pantaloni che rapidamente furono sbottonati, li sentii scendere a metà coscia. Ed il gelo si impadronì della mia pelle nuda. Ero soltanto un corpo, un involucro. Vuoto. Passivamente subivo la pressione di quelle mani che stringevano la mia erezione, incontrollabilmente già dura, già pronta per compiere nient’altro che un rituale. Io… non c’ero più. Non esistevo… ero altrove, lontano. In quei momenti ero solito immaginarmi al centro di una minuscola stanza vuota e circolare, dove vi erano uno svariato numero di porte chiuse. Dietro a quelle porte potevo fuggire ovunque avessi voluto andare.

    Entrai con prepotenza in quella porta quasi a sfondarla. Il respiro corto e affannato, la pelle umida e accaldata. Affondavo dentro di lei marchiandola a fuoco. Era calda, stretta e bagnata. L’odore dell’eccitazione mise inginocchio quel che restava della mia lucidità mentale. Mi imposi di guardare avanti, lunghi e setosi capelli di un castano chiaro sensualmente mi accarezzavano le spalle nude. Labbra soffici e gonfie si schiusero leggermente per lasciare liberi gemiti di piacere.

    “ Iris.”

    Afferrai quei lunghi capelli tra le dita, quanto avevo desiderato possedere ogni centimetro di quella labbra. Le rivendicai non con delicatezza, ma con una famelica rabbia, insaziabile ed inflessibile. Scivolai con la lingua nella bocca in una carezza violenta e bagnata. Le sue dita serrate a pugno nei capelli corti… era mia, in quel sogno ad occhi aperti era totalmente mia. Sentii le unghie graffiarmi la schiena mentre i miei canini le segnavano la pelle tesa del collo. Quanta aggressività e bisogno c’era in quei baci, in quelle mani, in quel volersi fondere in un solo corpo. Avrei voluto conoscere il sapore della sua pelle per poterlo evocare e sentirlo realmente, ma non lo conoscevo… potevo solo immaginarlo.


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    La possedevo con una tale intensità come a voler cancellare il passaggio di qualsiasi altro maschio che era giunto prima del mio arrivo. Le pareti deliziosamente bollenti si contraevano serrandomi il membro che aveva tutta l’intenzione di marchiarla a fuoco liberando il seme una volta raggiunto l’apice del piacere. Entrambi gridammo rabbiosi al culmine di quella danza che stava consumando i nostri corpi ardenti come braci. Le venni dentro in un ultimo affondo, come mai avevo fatto con nessun’altra donna prima d’ora… e fu in quel preciso istante che con tutta la ferocia di un sogno che ti viene strappato nel momento in cui si è consapevoli che ormai ti sei svegliato ed è tutto svanito, guardai il viso della femmina. Lyliane che aveva gli occhi rossi e gonfi per le lacrime versate. Mi allontanai immediatamente, catapultandomi al lato opposto a quello cui lei si era rannicchiata. Piangeva, la stronza.

    Mi voltai e mi girava la testa. Quanto avrei voluto dare di stomaco.

    << Ci hai condannati per il tuo fottuto egoismo. Cazzo piangi, adesso? Alzati e fammi uscire da questo dannato inferno! >>

    Le candele si spenserò con una folata di vento gelida. Piombammo nella totale oscurità. Nemmeno la Luna ci era amica in quella cazzo di notte. La sua luce flebile oscurata in un eclissi totale.

    Cercai di rivestirmi come meglio potevo, non volevo restare un solo secondo in più nudo accanto a quel disgustoso mostro che avevo per sorella.

    In un silenzio innaturale fu investita l’ex fabbrica di tabacco. Guardai nella fitta oscurità che avevo dinanzi e notai la presenza di sei sagome umanoidi.

    Demoni, o meglio umani posseduti da entità demoniache.

    Ringhiai incazzato nero, mi giravano i coglioni come mai fino ad ora.

    << Consegnaci la femmina, figlio di Astaroth e avrai salva la vita.>> uno di loro parlò.

    Feci segno alla stronza di spezzare quel cazzo di incantesimo per riavere la piena facoltà dei miei poteri ed annientare quei sei pezzi di merda.

    << Mi sento offeso nell’onore per avermi inviato sei inutili teste di cazzo ad ammazzarmi. >>

    Lyliane spezzò il cerchio di sangue e fui libero di oltrepassare il pentacolo.

    << Dicevi coglione? >> mi piazzai al centro della sala.

    << La succube deve venire con noi. >> alle mie spalle si materializzò un settimo uomo, mi voltai di scatto.

    La malvagità che percepivo da quella creatura era notevole.

    … e vi riconobbi Legione in quel corpo umano.

    << Fottiti , leccaculo. >>

    “ Un cazzo di consigliere avevano inviato. C’era in gioco qualcosa di grosso per scomodare uno dei tirapiedi di Lucifero. “

    Lo attaccai senza pensarci due volte. Colpire prima di essere colpiti, una strategia che non faceva una piega.

    .. mentre ero impegnato con Legione. Lyliane si occupò dei sei demoni di infimo livello. Lo scarto del regno.

    Un ghigno maligno affiorò sulle mie labbra nel notare lo stupore in cui vessava Legione. Non si aspettava un mezzo demone capace di tenergli testa.

    << Non essere stupido. Arrenditi prima che ti spezzo ogni singolo osso. >>

    In risposta sferrai un potente calcio nello stomaco che fece piegare il consigliere sulle ginocchia. Sfruttando la rapidità degna di un non-morto, fui alle sue spalle, l’avambraccio destro serrò la sua gola contro il mio petto.

    << Parlavi di ossa rotte? Potrei iniziare con quella del tuo collo. >> ringhiai ad un soffio del suo orecchio umano.

    Legione riuscì a liberarsi mi catapultò dall’altro lato nella sala, e fui io stavolta ad avere qualcosa di rotto.

    “Merda”

    Atterrai violentemente sul pavimento dove erano ammassate vecchie sbarre di acciaio. Ne presi una tra le mani e sferrai un ultimo attacco decisivo. Puntai alla testa, ma il consigliere abilmente schivava i miei colpi. Capii di dover infondere nella lega di ferro, perfetto conduttore di elettricità, un po’ del mio potere. Stavolta presi bene la mira e la mazzata calò con violenza sul corpo di carne ed ossa del demone. La scarica elettrica lo investì insieme al colpo ed il povero coglione stramazzò al suolo, in una bella pozza di acqua stagnante. La corrente non smise di attraversare le sue membra. Mi voltai in direzione di Lyliane, era sola, i sei demoni erano stato fatti fuori uno ad uno.

    << Libera Flavio. Muoviti. >>

    Sollevai il corpo privo di sensi di Legione e me lo caricai in spalla, dovevamo farci una lunga chiacchierata ed io ero bravissimo nel cavare di bocca ciò che mi interessava sapere. La stessa cosa fece mia sorella con Flavio.

    Mi voltai a guardarla, non c’era tempo di pensare a cosa avevamo fatto.

    Ci volevano morti, prima del tempo. Qualcosa non quadrava ed io affrontavo un problema alla volta.

    << Seguimi. >>

    Quella notte non aveva fine. Cercai di non pensare che ero stato costretto a concepire un qualcosa di abominevole. Quest'incubo sarebbe durato ancora per poco.

    Certe oscenità andavano abbattute senza pietà, prima che fosse troppo tardi.



    CONTINUA IN: LUOGHI DI FESTA - DIVERTIMENTO - GRAN CASINO' SPADA.
     
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