Aura Aetas

Questa non è una fan fiction, ma un romanzo vero e proprio che voglio condividere con voi.

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    Super Creatura della notte

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    Aura Aetas
    Capitolo 1: nascita
    Cos'è l'uomo?
    Sono duemila anni che questa semplice domanda ci ossessiona.
    Da quando esiste l’uomo, le persone si sono poste questo interrogativo.
    Alcuni definiscono l'essere umano come un complesso animale sociale.
    Per altri, più romantici, è un dio caduto, oppure la razza prediletta dal fato.
    Eppure, per chi si divincola nelle infinite vie della ragione queste supposizioni sono vane o superficiali.
    Le domande più semplici sono le più spaventose, per chi riesce a aumentare a dismisura il proprio sapere, riuscendo a districare i misteri della natura e dell'uomo.
    Chi siamo?, da dove veniamo?, qual è la nostra natura?
    Erano decenni che queste domande rimbombavano nella mente del dottor Ebus.
    Era rimasto lì, su quella vecchia sedia, davanti alla scrivania.
    Oramai ogni attività era cessata.
    Non c’era più bisogno di tracciare grafici o approfondire idee o concetti.
    Il silenzio della notte era interrotto solo dal ticchettio dell'orologio, che adesso segnava le due del mattino.
    Lo scienziato restava lì, immobile.
    Le mani incrociate sotto il mento, gli occhi coperti dalle lenti opache, ora persi sul suo obbiettivo.
    Era strano pensare che la risposta a quelle tre, irrisolvibili domande, ora si trovasse proprio davanti a lui, insieme a tutti gli interrogativi della razza umana; insieme a esse la conoscenza suprema, forse la soluzione a ogni problema.
    Il frutto di anni di lavoro, di conoscenze infinite e di enormi finanziamenti.
    Figurava come un'arca cubica per metà d'oro e per metà di vetro.
    Al suo interno si poteva notare un liquido color acquamarina, che interrompeva il buio con una leggiadra luce artificiale, proiettata dal basso. Una figura giaceva sul fondo, confondendosi con le linee sfumate del fluido color cobalto.
    Il pallore del corpo era ammantato di azzurro, che ne celava e proteggeva le forme, come un’intangibile guardiano.
    Quella che poteva sembrare semplicemente una preziosa bacheca, era in realtà un altare; un'ara dedicata al progresso della razza umana, che ora si apprestava a elevarsi al pari delle divinità.
    Erano passati dodici anni da quando Ebus aveva avuto quella visione scellerata.
    Era una di quelle idee quasi irrealizzabili, ma allo stesso capaci, se portate a termine, di riscrivere le regole del creato.
    L'uomo ricordava ancora di quando si mise una mano sul cuore, recitando il giuramento sacro agli dei, le stesse divinità che ormai ignoravano il dolore della sua gente; una sofferenza che il saggio si era già accollata da tempo.
    La confederazione dei Tuscàni, la sua amata patria era divorata da problemi e lui, tra tanti falsi eroi aveva trovato la soluzione.
    Ovviamente non si era limitato a raggiungere un obbiettivo così semplice.
    Le dodici città alleate erano società ristrette, talvolta stagnanti.
    Ebus non era interessato a compiere una così minima impresa.
    Lui era un uomo ambizioso, anzi, era molto di più. Lui era un uomo determinato a trovare la verità.
    Le stesse città che componevano la coalizione avevano finanziato quel laboratorio al meglio, dotandolo del miglior personale, e del migliore equipaggiamento.
    Un genio del suo calibro, con tutti quegli aiuti poteva cancellare gli errori di un passato di guerre e distruzioni ingiustificate.
    Salvare una nazione, anche la propria patria, non era nulla rispetto a quella superba visione di armonia.
    Il dottore si rendeva conto che i tempi erano maturi, e già pregustava la gloria.
    Per la prima volta, dopo un intero decennio dedicato al raggiungimento della divina conoscenza, un brivido ben poco sacro gli percorreva la testa.
    Di colpo si alzò dalla sedia, spolverando la corta tunica color carbone, ancora coperta dalla polvere dei gessi, usati per tracciare i grafici e gli schemi.
    Voleva dare un'occhiata all'arca, controllando che il suo contenuto fosse totalmente tranquillo, come le altre volte.
    I suoi passi rimbombarono lenti nell'oscurità tinta di blu, mentre i lineamenti rigidi e la corta barba venivano pian piano illuminati dal bagliore azzurro.
    Passò una mano sul vetro dell'ara, che ora si era leggermente appannato.
    Aveva ripetuto talmente tante volte quel gesto che ormai i suoi guanti bianchi si stavano ingrigendo per l’umidità.
    La condensa si diradò, palesando la meraviglia che aveva creato. I suoi occhi sembrarono risplendere nell’oscurità della stanza.
    Quel saggio non aveva generato qualcosa di semplice e effimero.
    Aveva infatti riformato ciò che è eterno e immortale.
    Aveva dato alla luce un'idea e l'aveva cinta di carne e sangue. I profondi occhi gialli dell’uomo sembravano brillare, riflettendosi sulle spesse lenti a mezzaluna.
    ''Oh uomo, conosci te stesso e conoscerai l'universo e gli dei''
    Sussurrò Ebus, mentre un leggero sorriso piegava le sue labbra.
    L'idea che il dottore aveva concepito ora riposava sul fondo della teca, vestita di umana sembianza.
    I suoi occhi erano chiusi e ammantati dal liquido indaco, in cui i capelli neri volteggiavano, come spinti da una leggiadra brezza.
    La pelle perlacea risplendeva della luce, percorsa da impercettibili fremiti.
    L'inguine e il petto si contraevano al ritmo dei respiri, testimoni dell'ermafroditismo dell’essere. Un respiratore era avvinghiato alle sue labbra, guidandone i respiri regolari.
    Ciò che Ebus aveva generato altro non era che l'apoteosi di ciò che poteva essere definito umano.
    Ciò che sembrava un semplice fanciullo dalle forme androgine era la perfetta coesistenza dei contrari.
    Idee, informazioni e conoscenze di un'intera specie erano fuse in un’esistenza umana.
    Uomo e donna, madre e padre, creatrice e distruttore, ma riuniti in una sola persona.
    A pensare cosa aveva ideato, la mente di Ebus veniva colpita da un brivido di puro piacere.
    Non importava più il costo del progetto, non importava quanti anni c'erano voluti.
    ''Sei bellissimo''
    Riconobbe il sapiente, che come al solito restava stregato dalla sua superba creazione.
    L’uomo aguzzò la vista, accorgendosi di una particolarità che a prima vista apparì tanto insignificante da essere imputabile alla rarefazione del liquido.
    Il fanciullo stava infatti cominciando a contrarre i muscoli pettorali, e a piegarsi leggerissimamente in avanti, distendendo convulsamente le spalle.
    Un brivido freddo attraversò la fronte del dottore, mentre il battito del suo cuore cominciava a scandire gli attimi, all'unisono con il ticchettio dell'orologio.
    ''Che sia l'ora?''
    Si domandò Ebus tra sé e sé.
    Il saggio arrancò nel buio, controllando il battito cardiaco del giovane.
    Appoggiò l'orecchio alla teca, facendo ricadere i corti capelli neri sul vetro.
    I battiti erano accelerati in modo impressionante e rimbombavano sulla superficie trasparente.
    L'uomo controllò una seconda volta l'interno dell'arca, mentre il suo respiro affannato riecheggiava nelle tenebre.
    L'androgino aveva cambiato drasticamente i suoi movimenti.
    Ora sembrava quasi annaspare.
    Le dita affusolate giravano e brancolavano convulsamente, avvinghiandosi ai tubi, e rischiando addirittura di strapparli via.
    Il professore contemplò la vasca, sbalordito.
    Un progetto fondamentale per la storia dell'uomo rischiava di fallire per colpa sua.
    Non poteva tollerare in alcun modo che una simile rivoluzione abortisse.
    Il dottore non aspettò altro, si chinò, raggiungendo la parte inferiore della teca, battendo forte sulla superficie dorata.
    Un acutissimo suono di sirena infranse il silenzio.
    Una luce gelida squarciò le tenebre, mentre il giovane continuava a dimenarsi, ora in modo convulso e caotico. Agitava le mani, cercando di strappare via il respiratore che gli permetteva di respirare.
    I cavi e tubi si ritirarono nei loro loculi con sibili e fruscii, staccandosi dalla pelle del giovane.
    L'allarme imperversò ancora, rimbombando per le stanze silenziose dell'istituto di ricerca.
    Il liquido azzurro defluì rapidamente.
    La parte superiore dell'arca si aprì, lasciando scoperta la vasca al suo interno e librando uno sbuffo color cobalto.
    Il sapiente si chiese se in una notte così bella, così serena, ma allo stesso tempo così anonima dovevano cambiare le cose.
    L'allarme cessò.
    Il silenzio calò di nuovo.
    Tutto si bloccò per alcuni momenti, come se il tempo si fosse fermato.
    Un suono calmo e candido si pronunciò per alcuni effimeri momenti, prima di essere coperto da un cigolio.
    Ebus si voltò, rendendosi conto che quel suono metallico era stato prodotto dalla porta della sala.
    Un uomo vestito con una lunga toga bianca entrò per osservare la scena.
    Un'espressione sbigottita si era tinta sul volto rugoso, contaminando gli stanchi occhi grigi.
    Il dottore, ancora bloccato nella morsa dell'ansia si voltò,
    incontrando lo sguardo del suo collega.
    Nessuno dei due aveva il coraggio di dire niente.
    Il silenzio venne interrotto di nuovo da un suono metallico.
    L'arca, ora rigata da lunghe gocce di umidità, cominciò a fremere, per poi aprirsi totalmente, come un fiore di vetro e oro. I quadranti che formavano quel cubo perfetto cedettero, cadendo e infrangendosi sul pavimento.
    Uno sbuffo di vapore invase la stanza, soffiando come un serpente impazzito.
    Ebus scattò verso ciò che rimaneva dell’ara, cercando con gli occhi la sagoma della sua creazione.
    Ignorò il vapore incandescente che gli schizzava in faccia, trattenendo a stento un grido di dolore e serrando gli occhi.
    La nebbia si diradò piano, lasciando libera la sua vista.
    Ciò che vide in seguito lo terrorizzò, stroncando ogni sua speranza.
    Il corpo di suo ''figlio'' giaceva su ciò che rimaneva dell’arca.
    Le mani del dottore cominciarono a tremare.
    Pensare che erano rimaste fredde e dure come il ghiaccio, da quando aveva messo piede in quel centro di ricerca.
    Il calore, che gli aveva ustionato la guancia destra non bastò a scaldare il sudore gelido che gli imperlava la fronte.
    Carezzò il volto della sua creatura, come ultimo saluto.
    Quel viso angelico rimaneva fermo, inviolato anche nella morte.
    Le palpebre rimanevano chiuse. Lo sarebbero restate per sempre.
    Il saggio si voltò di colpo, portandosi una mano umida alla fronte, trattenendo a stento un urlo di dolore e frustrazione.
    Dieci anni di lavoro andati in fumo, sfumati nel niente di un colossale fallimento. L’uomo si strinse il volto, mentre tutto si inabissava nel silenzio.
    Un sibilo interruppe la sua sofferenza.
    Ebus si voltò di colpo, incontrando la visione più bella che il mondo aveva saputo donargli.
    La pelle lattea di suo figlio palpitava, animata dal sangue che circolava, facendogli inarcare il petto e i larghi fianchi.
    Le spalle, le mani e i piedi si muovevano istintivamente con i suoi primi gesti.
    Le labbra rosee si aprivano e chiudevano, con la cadenza dei respiri spezzati.
    Ebus ispirò forte l'aria, densa di odore di chimico e vapore torrido.
    I respiri dell’androgino si fecero più decisi, mentre le spalle si incurvavano con veemenza.
    Ebus si rese testimone dell'evento che avrebbe cambiato le cose.
    Il primo essere umano artificiale aprì gli occhi.
    Il suo creatore quasi sobbalzò.
    Quelle iridi erano più simili a quelle di un dio che a quelle di un uomo.
    Erano di un verde profondo come l'oceano, screziati da lunghe linee di un oro più vivido di quello che componeva l'arca.
    Il professore alzò lo sguardo, guardando in volto del suo anziano collega, che si era limitato a fissare la scena sbigottito e tremante.
    ''Le cose sono cambiate, direi che la confederazione può essere avvisata ora... Pretendo un comunicato, che sia annunciata la riuscita del progetto''
    Finalmente poteva dire quelle parole, e annunciare la sua vittoria, la vittoria del genere umano.
    Una trionfo cantato con una splendida sinfonia di respiri e affanni di una nuova vita.
    Una vita che decretava la fine di un’epoca e un nuovo inizio.
    Passò gli occhi sulla figura distesa sui resti della sua preziosa incubatrice.
    ''Benvenuto Attis''
    Mormorò l'uomo, mentre il suo sguardo si specchiava negli occhi di colui che avrebbe portato la luce del domani.
    Capitolo 2: La cerimonia
    Era arrivato il giorno in cui sarebbe stata annunciato pubblicamente l’esito positivo del progetto.
    Non ci era voluto molto a pianificare la cerimonia.
    Il senato Tuscanico, colto impreparato aveva scelto brevemente il modo in cui eseguire la celebrazione: era un evento così straordinario che si era deciso addirittura di compiere una funzione pubblica in pompa magna.
    I senatori avevano scelto di condurre la celebrazione davanti al tempio maggiore di Volturmnia, la città che più ambiva a divenire a tutti gli effetti la capitale della nascente nazione Tuscanica.
    Il monte, su cui si avviluppavano da millenni le sue vie, case e templi testimoniavano la sua antica egemonia.
    D'altronde, quello era il primo insediamento della civiltà, sede del senato e dei templi più sacri.
    Attis era stato prelevato dal laboratorio, lavato e agghindato per l'occasione.
    Ora si trovava a percorrere la via sacra, che connetteva il suo segretissimo luogo d'origine con la nascente capitale.
    I larghi occhi verdi del giovane roteavano, esplorando con lo sguardo la sua angusta posizione.
    Quel luogo in cui lo avevano scortato era parecchio limitato e non riusciva neanche a stare in piedi.
    Non aveva ancora una perfetta cognizione delle cose; tuttavia capiva bene di essere nello stretto, e questo non gli piaceva affatto.
    Non sapeva che la maggior parte dei popolani avrebbe ammazzato la madre per stare in quello ''scomodo'' posto.
    Quella era una carrozza; il carro che rappresentava l'unità delle dodici città.
    Erano almeno quindici anni che non veniva utilizzato, e ora tornava a accompagnare colui che avrebbe dovuto tutelare la pace.
    Il mezzo era stato realizzato con il legno di un albero sacro, per poi essere rivestito con ampi bassorilievi in argento e oro, che testimoniavano la storia del paese.
    Era trainato da una coppia di stalloni bianchi come la luna, importati dai regni orientali, le cui criniere erano stati abbellite da piume variopinte.
    Tuttavia, il giovane prescelto non poteva ancora comprendere la bellezza.
    Sapeva solo che degli uomini lo avevano svegliato quel mattino, lo avevano ricoperto di cianfrusaglie profumate e lo avevano vestito, per poi scortarlo davanti a quella strana stanzetta su ruote.
    Era rimasto quasi folgorato dalla luce di quei rilievi metallici e non era affatto entusiasta.
    Tuttalpiù era rimasto affascinato dai due bizzarri animali attaccati al carro.
    Infatti, prima di salire in carrozza aveva studiato per alcuni minuti quelle strambe creature, che sbuffavano e fremevano.
    La sua conoscenza era ancora assai parziale.
    Non poteva nemmeno rendersi conto di com'era il suo aspetto, ora che era stato curato.
    Il corpo era stato coperto da una toga bianca, intelaiata da sottilissime trine d’oro, intrecciate a formare delicati disegni geometrici sui fianchi.
    Gli occhi erano stati contornati da due lunghe linee nere, parallele alle ciglia, poco sopra gli zigomi.
    Il trucco scuro faceva risaltare splendidamente le iridi verdi, venate di linee dorate.
    Anche la bocca era stata ricoperta di nero. La tintura scura creava uno splendido contrasto con la carnagione lattea.
    Lo sguardo di Attis si spostava da un angolo all’altro del suo sedile, immergendosi nel colore argentato del velluto che lo rivestiva.
    Carezzò piano il tessuto, saggiandone la morbidezza, per poi accoccolarcisi sopra, in posizione fetale.
    Gli occhi si muovevano piano, compiendo ampi cerchi, seguendo i raggi del sole e il borbottio delle ruote sotto di lui.
    Erano un paio d’ore che il cocchio si muoveva disinvolto tra le vie della Tuscania; ormai non mancava molto all’arrivo.
    Anche se non poteva stare in piedi, per Attis era bello ascoltare tutto ciò che gli capitava intorno.
    I bagliori solari che filtravano dalle finestre e illuminavano il velluto argenteo, lo scalpitio delle ruote, lo sbuffo dei cavalli, il canto degli uccelli e le sporadiche incitazioni del cocchiere.
    Si rendeva conto per la prima volta di essere vivo.
    Il giovane avvertì un suono spezzato e prolungato.
    Il cocchiere si era alzato dalla sua postazione per controllare la rotta.
    Una figura si delineò lentamente all’orizzonte.
    Sembrava un gigante che si avvicinava pian piano.
    La titanica sagoma dominava il paesaggio circostante, formato principalmente da prati e colline boscose dalle linee smussate.
    Quello era l'altopiano di Vulturus.
    Un titano fatto di pietra, roccia e terra. La sua altezza, di poco maggiore a quella di un colle non era poi tanto particolare, era la forma a colpire.
    Infatti il monte aveva un profilo spiccatamente piramidale.
    Sui quattro versanti si arrampicavano diversi boschi secolari, che li tingevano di verde intenso.
    Ora si potevano tranquillamente distinguere le gigantesche mura intorno alle pendici della montagna, mentre un bagliore quasi celestiale ne cingeva la cima.
    La punta del sembrava essere stata tagliata di netto da un'enorme scure, poiché era totalmente piatta.
    Proprio sulla sommità si potevano riconoscere alcune granitiche figure.
    Quella era la città di Volturmnia.
    Un capolavoro di scienza, arte e tecnica.
    Nelle sue vie e piazze soffiava ancora l’aria che respirano i suoi primi abitanti; mentre la sua origine si perdeva nei misteri della volontà divina.
    L’acropoli, anche da diversi chilometri appariva brillante, illuminata dal sole primaverile. La periferia er composta principalmente da casupole in legno o muratura; che erano arroccate sui fianchi del colle, come molluschi attaccati allo scoglio.
    Attis rimase calmo, disteso sul velluto, fino a che non sentì la strada inclinarsi e cigolare le sospensioni.
    Allora il giovane si sporse da uno dei finestrini, facendo sventolare la lunga tunica.
    Un alito di vento gelido gli soffiò sulle guance.
    I suoi occhi, che ora grazie al trucco sembravano ancora più ampi, si tinsero di meraviglia.
    La carrozza stava percorrendo un’ampia strada a spirale che si aggrappava alla terra nuda del monte.
    Guardò avanti, notando le propaggini della città che svettavano, proiettando lunghe ombre.
    Mentre dietro, tra le ombre delle querce e dei pini secolari erano visibili le porte delle mura colossali, che ora venivano lentamente richiuse.
    Presto la strada si fece meno scoscesa, facendo intravedere perfettamente la seconda cinta muraria.
    I tetti dei templi e dei palazzi facevano capolino dalle mura megalitiche, come guardiani silenziosi pronti a accoglierli.
    I giganteschi blocchi di roccia che formavano la fortificazione erano interrotti solo dall'immensa porta.
    Le pietre che componevano l'arco erano state interamente dipinte dello stesso blu del cielo, così da confondersi con esso e apparire simile all’entrata del regno degli dei.
    La chiave di volta, tecnologia invidiata da tutto il mondo, era stata invece ricoperta d'oro, così da sembrare un piccolo sole che illuminava i dintorni.
    I giganteschi battenti erano aperti e attendevano il passaggio del carro sacro.
    Attis tolse la testa dal finestrino mentre la carrozza attraversava il portale.
    Il silenzio calò, interrotto solo da qualche scalpitio dei cavalli e dal cigolio delle sospensioni.
    Magari quella non era la porta per un regno divino, sconosciuto agli uomini, ma per il giovane era qualcosa di totalmente nuovo.
    La carrozza si arrestò con un suono secco.
    I cavalli si fermarono, con un leggero nitrito, sbattendo gli zoccoli a terra.
    Il giovane guardò fuori dal finestrino.
    La strada aveva preso una forma totalmente differente da quelle attraversate in precedenza. Era infatti rivestita da lastre di marmo che risplendevano ai raggi della primavera.
    Qualcosa era adagiato sulla pietra bianca.
    Attis aguzzò la vista, notando che quella figura rotondeggiante non era sola, infatti era contornata da svariate forme simili.
    Si parò gli occhi dal sole, capendo che quelle erano persone in ginocchio.
    La fronte a terra e le mani stese davanti alla testa, toghe lunghe quanto la sua indosso.
    Il giovane non capiva come mai lì ci fosse della gente in quella posizione, che istintivamente riconduceva al malessere.
    Incuriosito, cercò di forzare il gancetto per uscire dalla carrozza, ma lo sportello non si aprì, poiché il mezzo era stato chiuso dall’esterno.
    Il canto possente di un corno rimbombò tra le mura come un grido dentro una stanza sigillata.
    Altri lo seguirono, intonando un solenne inno.
    Colto di sorpresa il ragazzo si strinse le orecchie tra le mani.
    ‘’Il sacro carro è entrato!’’
    Ammise una voce in lontananza, prima di confondersi, tra le urla di stupore e meraviglia della gente; che da inginocchiata ora si alzava e arretrava per rimirare meglio la carrozza.
    Grida di giubilo, lodi e preghiere cominciarono a fare da sottofondo al ruggito dei corni, nel frattempo che la gente si alzava.
    Presto la carrozza venne avvolta dalla folla.
    Attis si nascose di scatto sotto il sedile, colto alla sprovvista da quella reazione.
    Non aveva mai visto più di tre persone contemporaneamente, e ora ce ne erano un centinaio abbondante solo nel suo campo visivo.
    Erano tutti abbigliati nel modo in cui si va nei templi e nei santuari.
    Infatti erano tutti ben vestiti, ma con lunghi abiti dai colori fini e dai tratti austeri.
    Bianco, nero o grigio erano gli unici colori con cui i cittadini si adornavano; portare abiti troppo sfarzosi o troppo elaborati sarebbe stato reputato volgare, quasi sacrilego.
    Era ironico che tutti avessero una toga pulita e ‘’in regola’’, anche chi evidentemente non si lavava da mesi.
    Di colpo, tra la gente fece capolino un striscia nera.
    Tutto si zittì, mentre il suono delle trombe diminuiva, venendo sostituito da un rumore molto più inquietante.
    La plebe si fece da parte, mentre dei passi echeggiavano sul marmo della via, accompagnati da un sinistro tintinnio metallico.
    Dalla matassa omogenea della folla comparvero due figure nere.
    Il giovane rimirò brevemente i due.
    Ne era spaventato.
    Erano uomini, ma di quella forma lui non ne aveva mai visti.
    Erano interamente vestiti d’acciaio.
    Chiusi nelle loro armature, che ricalcavano la muscolatura come un vestito bagnato.
    Gli elmi erano ampissimi e lasciavano intravedere solo gli occhi, che sembravano risplendere a contrasto con il metallo scuro.
    Sulla testa si trovava una livrea metallica, coronata da un pennacchio, che faceva sembrare i guerrieri due giganti.
    Il tridente stretto tra le mani, la tozza e dritta spada portata al fianco.
    Uno scudo ovale, maneggevole e di dimensioni ridotte proteggeva l’avambraccio.
    I soldati avanzarono verso il giovane, che scivolò sul sedile, facendo ondeggiare la tunica, con una smorfia di terrore.
    I due si bloccarono davanti allo sportello, facendo risuonare nel silenzio il tintinnio metallico.
    Fecero rapidamente scorrere le mani sulla serratura, che fece aprire la porta con un leggiadro cigolio.
    Poi si disposero in riga, agli angoli dell’uscita, sull’attenti.
    Attis restava titubante, un po’ impaurito da quella nuova presenza.
    Decise comunque di uscire fuori dal carro, incuriosito da quel luogo tanto nuovo.
    Appena appoggiò i piedi nudi a terra si levò un secondo grido, ben più rumoroso del primo. Nella confusione riconobbe il suono di un centinaio di voci e di altrettanti passi.
    I militari incrociarono le armi di fronte al giovane per arrestare la folla.
    Un groviglio di mani, che si dimenavano e arrancavano, cercando di toccargli la tunica si divincolavano tra le aste incrociate dei tridenti; mentre qualche donna dal lungo velo vi strisciava sotto per baciargli i piedi.
    Il ragazzo premette la schiena contro il legno rigido della carrozza, cercando di sottrarsi a quei tocchi così indiscreti.
    I militanti lanciarono via una parte dei passanti che li pressavano, facendo ondeggiare i pennacchi.
    I corni cominciarono a suonare in un’imperiosa fanfara, scandita da altri rumori metallici che provenivano da dietro il carro sacro.
    Altri soldati si fecero spazio, sgomitando e strattonando alcuni manifestanti, che ora cominciavano a formare una caotica coda dietro al ragazzo. Gli uomini erano stupefacentemente tutti uguali, per portamento e atteggiamento.
    I guerrieri lo accerchiarono, mentre lui capiva le loro intenzioni protettive.
    Il giovane si trovò protetto da tutti i lati.
    La perfetta formazione interrompeva la folla, che vi disponeva disordinatamente dietro tra grida e spergiuri.
    Attis si guardò intorno, visto che non ne aveva avuto il tempo prima.
    Notò che nonostante ci fosse il sole, la strada era totalmente in ombra.
    Alzò la testa, capendo che si trovava stretta nei contorni delle innumerevoli strutture cittadine.
    I palazzi della città si protendevano verso il cielo, come enormi alberi di marmo.
    I negozi e le insule si avviluppavano ai piedi degli enormi palazzi storici, avvinghiati come l'edera alla corteccia dei pini.
    Dalle taverne soffiava l'odore del vino, spinto dal vento freddo del mattino; la stessa brezza che fischiava attraverso gli intricati colonnati delle ville, che dominavano il paesaggio con i loro svariati piani.
    Le colonne di porfido rosso e verde alla base degli stabili, erano saltuariamente interrotte da statue rappresentanti dei e re, talmente realistiche da sembrare vive.
    I fregi e i bassorilievi che avvolgevano le mura e i portoni sembravano osservare la folla, con gli occhi severi degli antichi eroi.
    Il sole filtrava dalla foschia, illuminando l'aria rarefatta e facendo brillare i muri di marmo come argento lucidato.
    Gli edifici più colorati erano di sicuro i templi, con i loro frontoni triangolari, colorati d’azzurro o ricoperti di foglia d’oro.
    Attis girò la testa, disegnando un ampio cerchio con la fronte, mentre il suo sguardo incontrava la più stupefacente di quelle strutture.
    Dominava la via, che si apriva di fronte a lei.
    Era solo un luccichio in lontananza, ma già da lì se ne potevano capire le dimensioni.
    Lontano, sopra ai tetti della città era possibile intravedere una facciata di forma triangolare, abbellita da intarsi metallici.
    Solo la facciata spuntava dall’intricato profilo della città, ma rendeva bene l’enormità dell'edificio.
    Di fronte a quella struttura non solo le persone sembravano formiche, difatti anche gli altri palazzi lo sembravano.
    Probabilmente, se in un’altra delle dodici città si fosse voluto erigere un monumento grande quanto la sola facciata dell’edificio, si sarebbe rischiato di mandare la nazione sul lastrico.
    Il ragazzo rimase come stregato da quella granitica monumentalità, che non sembrava neanche generata da mano umana.
    Una voce in lontananza, accompagnata da un rullo di tamburi e dal barrito dei corni accompagnò il diradarsi della folla.
    Da quel tumulto fatto di grida e sventolii di tuniche si levò un immagine conosciuta.
    Un uomo con una breve tunica scura si stava avvicinando verso la falange in cui il ragazzo era racchiuso.
    Gli occhi erano velati dalle lenti, che permettevano la vista delle profonde occhiaie che li intaccavano.
    Presto si trovò di fronte al muro di scudi e tridenti che era stato disposto.
    L'uomo guardò gli uomini con fare di sufficienza mentre la falange si apriva con un suono metallico, permettendogli di raggiungere il centro.
    ''Ben arrivato...''
    Abbozzò lui, voltando lo sguardo verso suo figlio, mentre il corteo iniziava timidamente a muoversi in direzione del gigantesco tempio.

    Edited by Libertus1998 - 12/3/2015, 19:31
     
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    hai scritto davvero qualcosa di profondo e complesso ti faccio i miei complimenti... bravo...
     
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    CITAZIONE ((Stefan) @ 11/3/2015, 00:26) 
    hai scritto davvero qualcosa di profondo e complesso ti faccio i miei complimenti... bravo...

    Ti ringrazio ^^
     
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    sei molto profondo per la tua età ;) ma anche impulsivo...
     
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    CITAZIONE ((Stefan) @ 11/3/2015, 16:01) 
    sei molto profondo per la tua età ;) ma anche impulsivo...

    Già
     
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4 replies since 7/3/2015, 12:28   73 views
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